Le donne di Zanzibar e il calcio «Non vogliono farci giocare»
Tra pregiudizi e religione, il pallone è (quasi) negato alle ragazze dell’isola
quali, come Nassra ha insegnato loro, continuano per la loro strada.
Al calcio delle donne si oppongono soprattutto le famiglie. La 19enne Rukia racconta al New York Times che la sua «non è affatto contenta» del fatto che giochi nelle Green Queens, una delle sei squadre che si affrontano nel poverissimo campionato femminile dell’isola, senza sponsor, senza tifosi, sfidando l’opinione della gente. «È ancora visto come un comportamento sbagli Dodoma uomini». Non sia mai: in allenamento le ragazze si coprono il più possibile, concedendosi la divisa leggera solo per le partite «ufficiali». C’entrano anche le dicerie popolari nell’isola secondo cui tra le calciatrici sia diffuso il lesbismo: un’accusa che a Zanzibar, dove l’omosessualità è illegale, può portare a una pena fino a 5 anni di carcere. Per questo il vice allenatore del team Jumbi ha cacciato una ragazza dalla sua squadra, ma almeno si è risparmiato la denuncia. «Non so se qualcuna tra le mie compagne sia lesbica — ammette la 27enne Warda — ma questo non dovrebbe avere nulla a che vedere col nostro diritto di giocare».
In questo quadro tutt’altro che favorevole, il football femminile dell’isola «non credo avrà mai il sostegno del governo», sospira Nassra, che si è battuta invano per portare il pallone alle bambine nelle scuole. Ma dov’è il problema? Il ministro dello Sport Ali Abeid Karume assicura al quotidiano americano che «le donne di Zanzibar vogliono essere femminili, non fare sport da uomini». O almeno a lui piace credere così.
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