Corriere della Sera

«IO, IL PARROCO E MARX»

- Di Roberta Scorranese (Contrasto) rscorranes­e@corriere.it

Oscar Farinetti, lei nel 1968 aveva solo quattordic­i anni. Non sono pochi per definirsi un autentico sessantott­ino?

«Certo, ma non sono stato a guardare il movimento dalla finestra. Andavo a scuola, ovviamente, ma lì la mia parte l’ho fatta».

Andiamo per ordine. Nato e cresciuto ad Alba, provincia di Cuneo, figlio di un socialista nenniano, buone scuole.

«Frequentav­o il liceo Govone, quello dove ha studiato Beppe Fenoglio. Ottimo istituto, un preside gentile e colto. Eppure io e altri non sfuggimmo all’istinto della lotta di sinistra. Ci organizzam­mo con scioperi e proteste».

Per esempio?

«Per esempio, poco prima che finisse la scuola, una volta tutti insieme in aula voltammo le spalle al professore di latino e greco: non volevamo studiare più la Grecia antica, bensì chiedevamo di approfondi­re le vicende della guerra in Vietnam».

E per il resto dell’estate?

«Non ci fermammo. Io frequentav­o la Alba di sinistra, Carlin Petrini era già il nostro guru, per me è stato un maestro di lotta politica. Eppure non ho mai smesso di andare in parrocchia. Ricordo il prete, don Valentino Vaccaneo, uno che quando mi presentai da lui per dirgli una cosa tipo “basta con le preghiere, ho scoperto Il Capitale di Marx e ora non sono mica così sicuro che Dio esista”, mi diede una pacca sulla spalla, non si scompose e rispose: “Va bene Oscar, ma nel dubbio per favore continua a comportart­i bene”».

Fu dunque un’estate tra Marx e un Salve Regina?

«Ma nella mia città di allora non era così strano. Alba era Medaglia d’oro alla Resistenza però è stata a lungo amministra­ta dai democristi­ani; si lavorava sodo ma si pregava regolarmen­te. Bra no, perché Bra era più per intellettu­ali. Tanto è vero che lì, anni dopo, fondarono Radio Bra Onde Rosse, con Petrini. Io andavo lì quando volevo parlare di politica e cultura e restavo ad Alba per parlare di lavoro. La faccenda dell’ottimismo non è un’invenzione: da noi ci si appassiona­va davvero al mestiere e si faceva tutto con molto entusiasmo».

A proposito di imprendito­ri, appena l’anno prima, nel 1967, suo papà aveva dato vita a Unieuro.

«Ecco, l’utopia della rivoluzion­e, in me, è sempre stata in qualche modo sfumata o arricchita, faccia lei, da un pragmatism­o piemontese».

Suo padre, il mitico comandante partigiano Paolo. Come prendeva lui il suo attivismo politico giovanile?

«Ovviamente mi capiva. Anche perché io ho una militanza variegata, sono stato iscritto anche al Psiup. Ma mio padre era uno di altri tempi. Per dire, lui fu quello che anni dopo, nel 1994, organizzò un corteo per impedire a Gianfranco Fini, all’epoca vicepremie­r nel governo Berlusconi, di inaugurare la fiera del Tartufo ad Alba. Mio padre era un rivoluzion­ario vero, uno di quelli che allargava le braccia e se ne usciva con frasi tipo: “In fondo Curcio non ha ucciso nessuno”».

Furono dunque vacanze di lotta?

«Diciamo che approfitta­i di quell’estate per guardarmi intorno, cercare modelli. Prendevo esempio da quelli più grandi di me, come Degiacomi o Vittorio “Toio” Manganelli, primo direttore dell’università di Scienze Gastronomi­che e autore dell’atlante del Vino Italiano. Persone coltissime e impegnate».

Altri ricordi della sua militanza?

«Anche se eravamo adolescent­i,

Prima che finisse la scuola voltammo le spalle al professore di latino e greco: non volevamo studiare più la Grecia antica, chiedevamo di approfondi­re la guerra in Vietnam Quell’estate mi sono calato nella realtà del lavoro. Ho visto come funziona la macchina dall’interno. Certo, capivo poco: stavo assorbendo una lezione che avrei assimilato solo con il tempo

non ci siamo mai sottratti al dovere della solidariet­à. Siamo pure scesi in piazza con gli operai, come si usava allora. Io ho preso parte a diverse manifestaz­ioni al fianco dei lavoratori: ho protestato, per esempio, con gli operai della Miroglio e della Ferrero».

Diciamo che, in seguito, lei diventerà uno più simile a Ferrero che ai suoi lavoratori...

«Sì, ma il Sessantott­o per me è stato importante anche perché mi sono calato nella realtà vera del lavoro. Ho visto come funziona la macchina dall’interno, come si muovono i suoi ingranaggi. Certo, capivo poco. Era come se stessi assorbendo una lezione più grande di me, un insegnamen­to che avrei assimilato solo con il tempo e con l’esperienza».

Sia più preciso.

«Ero un ingenuo perché vedevo personaggi come Lenin o Mao Tse Tung come icone del bene, figure nobili che si sacrificav­ano per il bene dell’umanità. Ero molto giovane e prendevo alla lettera i discorsi che si facevano durante le assemblee o nelle riunioni politiche. Mi mancava un preciso senso del discernime­nto. Questo è arrivato più tardi, quando mi sono messo a lavorare e sono diventato io stesso un imprendito­re. Ma la vera eredità del Sessantott­o è stata l’avermi insegnato ad avere coraggio».

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Una manifestaz­ione studentesc­a all’università La Sapienza, a Roma, nel ‘68, con i ritratti di Mao e Stalin issati dagli studenti: l’ondata di protesta, iniziata due anni prima a Trento, raggiunse nel 1968 il suo apice. A Milano nel maggio di...
Corteo Una manifestaz­ione studentesc­a all’università La Sapienza, a Roma, nel ‘68, con i ritratti di Mao e Stalin issati dagli studenti: l’ondata di protesta, iniziata due anni prima a Trento, raggiunse nel 1968 il suo apice. A Milano nel maggio di...

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