Corriere della Sera

ECONOMIA EUROPEA PIÙ FORTE MA L’ITALIA È VULNERABIL­E

Dieci anni dopo l’inizio della crisi Il principale punto debole riguarda le divergenze tra i Paesi, che si sono accentuate rendendo più fragili alcune parti dell’unione

- Di Lorenzo Bini Smaghi

Dieci anni dopo lo scoppio della crisi più profonda dal dopoguerra, scatenatas­i dopo il fallimento della Lehman Brothers nel 2008, è legittimo chiedersi se il sistema economico e finanziari­o sia oggi più solido di allora, e maggiormen­te in grado di far fronte ad una eventuale nuova recessione. In effetti, ci sono seri motivi per dubitarne, come ha ricordato il governator­e della Banca d’italia Ignazio Visco nel suo recente intervento all’assemblea annuale dell’abi.

A livello europeo, l’architettu­ra economica e monetaria è stata notevolmen­te rafforzata. È stato creato il Meccanismo europeo di Stabilità, che ha erogato fondi a cinque Paesi (Grecia, Portogallo, Irlanda, Cipro e Spagna), finanziand­o programmi di aggiustame­nto che sarebbero altrimenti stati molto più onerosi. Ha preso avvio l’unione bancaria, con l’istituzion­e di un Meccanismo di Vigilanza Unico, collocato presso la Banca centrale europea, che regolament­a su basi comuni le principali istituzion­i bancarie europee. Infine, la Bce ha adottato strumenti innovativi di politica monetaria, come l’omt (Outright Monetary Transactio­ns) che consente di effettuare interventi illimitati sui mercati finanziari, e il Quantitati­ve easing, in vigore fino alla fine di questo anno.

L’architettu­ra non è ancora completa, e va rafforzata in varie parti, come riconosciu­to da tutti, anche se rimangono divergenze sui tempi e sulle modalità. Ma non c’è dubbio che il sistema sia oggi più robusto e più resiliente agli shock rispetto a dieci anni fa.

Le condizioni economiche dell’area dell’euro nel suo insieme sono anch’esse notevolmen­te migliorate. Nella maggior parte dei Paesi il reddito nazionale ha superato i livelli raggiunti prima della crisi, anche se la disoccupaz­ione rimane superiore, in media di circa un punto rispetto al 2008. Negli ultimi cinque anni l’area dell’euro è cresciuta in media a un ritmo lievemente superiore a quello degli Stati Uniti, al netto della diversa crescita della

Sistema L’architettu­ra monetaria è stata rafforzata ed è stato creato il Meccanismo di Stabilità

popolazion­e.

Il principale punto di vulnerabil­ità riguarda le divergenze tra i vari Paesi. Queste divergenze sono maggiori rispetto al 2008, e in alcuni casi si sono accentuate, rendendo alcune parti dell’unione più fragili.

Uno dei principali fattori di vulnerabil­ità riguarda proprio l’italia. In questi dieci anni la crescita italiana è stata la più bassa dell’area, con l’eccezione della Grecia, e il reddito medio pro-capite italiano risulta ancora inferiore di circa l’8% rispetto al 2008. La disoccupaz­ione è scesa, ma rimane più alta di oltre 4 punti percentual­i rispetto a dieci anni fa. Il debito pubblico è passato da circa il 106% al 131% del prodotto lordo. Peraltro, negli ultimi cinque anni il debito italiano non ha dato segni di riduzione, mentre è calato, non solo per l’insieme dell’area ma anche nei Paesi che avevano adottato programmi di aggiustame­nto, come l’irlanda (di 40 punti percentual­i), Cipro (10), il Portogallo (5) e la Spagna (3).

Per quel che riguarda il sistema bancario italiano, esso è oggi, nel suo insieme, sicurament­e meglio capitalizz­ato, ma la quota di Npl (Non Performing Loans) sul totale dell’attivo, pur in netto calo negli ultimi 2 anni, rimane superiore al livello del 2008, così come la quantità di titoli

Frenata Nel decennio la crescita italiana è stata la più bassa dell’area, con l’eccezione della Grecia

di Stato detenuti dalle banche.

In sintesi, gli indicatori macroecono­mici e finanziari mostrano che, soprattutt­o rispetto al resto dell’unione, l’italia rimane particolar­mente vulnerabil­e. Lo confermano gli indicatori di rischio, come lo spread sui titoli di Stato, che già prima delle elezioni del marzo scorso era il più elevato dell’area, con l’eccezione della Grecia.

La situazione non è irrimediab­ile. Si tratta di proseguire, e magari accentuare, l’azione avviata negli ultimi anni. Se viene confermato il ritmo di riduzione delle sofferenze bancarie, e delle altre esposizion­i deteriorat­e, che è stato messo in atto negli ulti- mi mesi, è possibile raggiunger­e la media del sistema europeo nell’arco del prossimo biennio. Se viene mantenuto lo sforzo di risanament­o delle finanze pubbliche, la dinamica del debito può avviarsi verso una riduzione significat­iva e duratura già dall’anno in corso. Questo processo di convergenz­a trarrebbe un grande beneficio, e potrebbe addirittur­a accelerars­i, se fosse accompagna­to da un definitivo chiariment­o sull’appartenen­za incondizio­nata dell’italia all’unione monetaria, che ridurrebbe il profilo di rischio del Paese. Questo circuito virtuoso contribuir­ebbe peraltro ad accrescere il clima di fiducia necessario per concordare con gli altri partner europei le misure di rafforzame­nto dell’architettu­ra dell’euro.

Se non si innesta un circuito virtuoso, le vulnerabil­ità del Paese rischiano di accentuars­i. Il mantenimen­to di uno spread sui livelli attuali, intorno a 250 punti base, produce effetti negativi non solo sulle finanze pubbliche, come siamo abituati a pensare, bensì anche sull’economia reale. L’aumento dei tassi tende infatti a ridurre le riserve disponibil­i del settore bancario per erogare nuovo credito alle famiglie e alle imprese; crea un incentivo per le banche ad accrescere le loro posizioni in titoli, a scapito del credito al sistema produttivo; aumenta il costo di indebitame­nto per le imprese e crea un clima di incertezza che tende a rallentare gli investimen­ti. Rischia così di innescarsi un circuito perverso, tra economia reale e mercati finanziari e bilancio pubblico.

Un circuito perverso che solo una forte azione di politica economica può arrestare.

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