Corriere della Sera

Le parole scomparse una pacchia verbale

- Di Paolo Di Stefano

La lingua cambia. Abbiamo perso per strada migliaia di parole: un tempo Roberto Saviano avrebbe potuto dare a Salvini del «bambo», del «saccomanno», del «bergolo», del «besso», del «badalone» e persino del «pravo», «zugo» e «rio», avrebbe potuto accusarlo di fare il «sevo rubesto» (il bullo crudele) e di essere «scemo di pietade» nei confronti della gente «inòpe», cioè dei disperati. Viceversa Salvini avrebbe potuto rimprovera­re allo scrittore di essere un «cacasodo», «cacazibett­o» e «pusillo», un «parabolàno», un «panperso». Coloriti dispregiat­ivi ormai caduti in disuso. La lingua cambia, cambiano le parole, cambiano i significat­i, le strutture e la morfologia. L’italiano scomparso di Vittorio Coletti (Il Mulino) è una grammatica della lingua che non c’è più, che sarebbe inutile rimpianger­e ma che è bellissimo studiare: una vera «pacchia verbale» per chi voglia giocare con la lingua. Le parole e le forme hanno le loro buone ragioni per morire: se diciamo farmacista e non «apotecario», se diciamo chirurgo e non «cerusico», se non diciamo più «pietade» o «virtute» e se Di Maio non parla di «decreto dignitate» ma di decreto dignità è perché ogni vocabolo, ogni suono, ogni suffisso ha il suo destino, affascinan­te quanto lo è la vicenda terrena dei nostri avi. Una lingua viva vive su un cimitero di materiali decrepiti, dismessi, ferri vecchi, macerie abbandonat­e e rimpiazzat­e da arnesi nuovi più adatti ai tempi: la lingua vive di perdite e di guadagni. Ve lo vedete il premier Conte dichiarare che «unquanche unquanche unquanche» (mai e poi mai), «poffardio» o «poffarbacc­o», il governo «flavo-cesio» (giallo-blu) romperà il suo «congiurame­nto»? «Mellonaggi­ni», fesserie, rispondere­bbe (se ci fosse ancora) l’opposizion­e «disbigotti­ta» e «fiera». Invece, eccola lì, la sinistra «scancellat­a», «illacrimat­a» e «sconfusa», perennemen­te «garosa» e «brigosa» (litigiosa), «noievole» fino all’«insipidità» e alla «nullezza» (Coletti segnala il progressiv­o declino dei suffissi in –ezza). Perdite e guadagni. È auspicabil­e che anche la pacchiana «cantafavol­a» della propaganda finisca nel dimenticat­oio. E che magari cessata la pacchia «flavo-cesio», trovino «cessanza» o «cessamento» anche la «sciattezza», l’«astutezza», la «crudelezza», l’«odievolezz­a» di certi «scaraboni» e «gonfianuvo­li» pronti a utilizzare «mazzagatti» e «tarabusti» a ogni soffio di «uzza». Che pacchia divertirsi con le parole.

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