Le parole scomparse una pacchia verbale
La lingua cambia. Abbiamo perso per strada migliaia di parole: un tempo Roberto Saviano avrebbe potuto dare a Salvini del «bambo», del «saccomanno», del «bergolo», del «besso», del «badalone» e persino del «pravo», «zugo» e «rio», avrebbe potuto accusarlo di fare il «sevo rubesto» (il bullo crudele) e di essere «scemo di pietade» nei confronti della gente «inòpe», cioè dei disperati. Viceversa Salvini avrebbe potuto rimproverare allo scrittore di essere un «cacasodo», «cacazibetto» e «pusillo», un «parabolàno», un «panperso». Coloriti dispregiativi ormai caduti in disuso. La lingua cambia, cambiano le parole, cambiano i significati, le strutture e la morfologia. L’italiano scomparso di Vittorio Coletti (Il Mulino) è una grammatica della lingua che non c’è più, che sarebbe inutile rimpiangere ma che è bellissimo studiare: una vera «pacchia verbale» per chi voglia giocare con la lingua. Le parole e le forme hanno le loro buone ragioni per morire: se diciamo farmacista e non «apotecario», se diciamo chirurgo e non «cerusico», se non diciamo più «pietade» o «virtute» e se Di Maio non parla di «decreto dignitate» ma di decreto dignità è perché ogni vocabolo, ogni suono, ogni suffisso ha il suo destino, affascinante quanto lo è la vicenda terrena dei nostri avi. Una lingua viva vive su un cimitero di materiali decrepiti, dismessi, ferri vecchi, macerie abbandonate e rimpiazzate da arnesi nuovi più adatti ai tempi: la lingua vive di perdite e di guadagni. Ve lo vedete il premier Conte dichiarare che «unquanche unquanche unquanche» (mai e poi mai), «poffardio» o «poffarbacco», il governo «flavo-cesio» (giallo-blu) romperà il suo «congiuramento»? «Mellonaggini», fesserie, risponderebbe (se ci fosse ancora) l’opposizione «disbigottita» e «fiera». Invece, eccola lì, la sinistra «scancellata», «illacrimata» e «sconfusa», perennemente «garosa» e «brigosa» (litigiosa), «noievole» fino all’«insipidità» e alla «nullezza» (Coletti segnala il progressivo declino dei suffissi in –ezza). Perdite e guadagni. È auspicabile che anche la pacchiana «cantafavola» della propaganda finisca nel dimenticatoio. E che magari cessata la pacchia «flavo-cesio», trovino «cessanza» o «cessamento» anche la «sciattezza», l’«astutezza», la «crudelezza», l’«odievolezza» di certi «scaraboni» e «gonfianuvoli» pronti a utilizzare «mazzagatti» e «tarabusti» a ogni soffio di «uzza». Che pacchia divertirsi con le parole.
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