Corriere della Sera

Effetto incertezza, il Fmi taglia le stime sull’italia

Il Pil del 2018 rivisto all’1,2%, per l’anno prossimo crescita ridotta all’1%

- Corinna De Cesare

MILANO Più «pessimista» dell’unione Europea, di Banca d’italia e dell’ufficio parlamenta­re di bilancio. Il Fondo monetario internazio­nale taglia le stime dell’italia: la crescita del Pil si ferma a un +1,2% nel 2018 per poi scendere ulteriorme­nte inchiodand­osi all’1% nel 2019. Sono state tagliate così le stime di 0,3 punti percentual­i per quest’anno e di 0,1 punti per il prossimo.

Le revisioni al ribasso dell’istituto di Washington sono legate a doppia mandata all’ «allargamen­to dello spread e all’inasprimen­to delle condizioni finanziari­e sulla scia della recente incertezza politica. Questioni che - secondo l’fmi -potranno pesare sulla domanda interna». Non solo: l’istituto americano ricorda che in Italia, tra le economie avanzate, «a fine maggio lo spread si è ampliato al passo più rapido dal 2012, a causa delle difficoltà sulla formazione del nuovo governo» e, pur essendo poi calato, «resta attorno a 240 punti base a causa della preoccupaz­ione sulle politiche future».

Ma la perdita di slancio dell’italia è certificat­a anche dall’ufficio parlamenta­re di bilancio, che prevede un Pil in crescita dell’1,3% nel 2018, osservando la tenuta dei consumi ma il calo di investimen­ti ed export. Previsioni in linea con quelle di Banca d’italia (+1,3% per il 2018 e +1% per il 2019) e Commission­e europea (+1,3% +1,1%).

Un rallentame­nto, quello italiano, che si inserisce comunque nel quadro della frenata di Eurolandia, Germania e Francia incluse. Dopo il +2,4% del 2017, il Pil dell’area euro è atteso dall’fmi «gradualmen­te rallentare» al +2,2% quest’anno e all’1,9% il prossimo, cioè 0,2 e 0,1 punti percentual­i in meno rispetto ad aprile.

Invariate invece le previsioni per gli Stati Uniti, al +2,9% nel 2018 e al 2,7% nel 2019. Una volata, quella americana, che rischia di rallentare a causa della guerra commercial­e globale con i dazi visti come la maggiore minaccia alla crescita mondiale. «Il protezioni­smo — ha spiegato l’istituto di Washington — va evitato perché rischia di far deragliare la ripresa».

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