Corriere della Sera

Josephine e l’orrore

- di Fiorenza Sarzanini

Quando l’hanno issata a bordo dalla nave di Open Arms aveva gli occhi sbarrati, lo sguardo vitreo. Soltanto dopo qualche ora è riuscita a pronunciar­e il proprio nome, a raccontare che era rimasta in acqua per moltissime ore. Si chiama Josephine, si è messa in viaggio dal Camerun, è rimasta in Libia in attesa di partire per l’italia e alla prima occasione utile si è imbarcata. Il suo viaggio è terminato però a 80 miglia dalle coste africane quando il gommone si è rovesciato e lei è sopravviss­uta rimanendo attaccata a un pezzo di legno. A bordo della nave della Ong c’era Annalisa Camilli, giornalist­a del settimanal­e Internazio­nale, che ha assistito al soccorso. Javier Figuera è il volontario spagnolo di 25 anni che l’ha salvata: «Le ho preso le spalle per girarla e ho sperato con tutto il mio cuore che fosse ancora viva. Dopo avermi preso il braccio non smetteva di toccarmi, di aggrappars­i a me». Poco più in là sono stati notati altri pezzi di legno. Adagiati c’erano una donna e un bimbo, ma per loro non c’era più alcuna speranza. Li hanno trasportat­i a bordo, esaminato i loro corpi, verificato che entrambi erano morti da ore. Caduti in acqua poco dopo il naufragio di un gommone che per ammissione della stessa guardia costiera libica è avvenuto due giorni fa.

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