Il muro delle nomine
M5S rivendica un peso maggiore della Lega
C’è un muro che divide Cinquestelle e Lega dal ministro dell’economia: è il muro delle nomine. il titolare di via XX Settembre si è mostrato finora irremovibile. Il premier Conte prova a mediare.
C’è un Trentottesimo parallelo nel governo, è il muro che sulle nomine divide Cinquestelle e Lega dal ministro dell’economia e che ha reso in queste settimane ancor più complicata la ricerca di un’intesa. Da quando Di Maio e Salvini hanno iniziato a discutere sugli assetti di potere con i rispettivi sherpa, Tria non ha mai voluto partecipare ai vertici, sostenendo che su questo tema avrebbe parlato solo con il presidente del Consiglio. Come se il capo dei grillini e il leader del Carroccio non fossero i due vice premier, come se la tenuta dell’esecutivo non dipendesse da loro.
Ma il titolare di via XX Settembre si è mostrato finora irremovibile, privilegiando le forme più istituzionali e costringendo per l’occasione Conte a trasformarsi in una sorta di «staffetta». Raccontano che il rito si sia ormai consolidato: i partiti si riuniscono e informano il premier, che si incarica di riferire al ministro l’esito degli incontri. A sua volta il ministro rappresenta le proprie valutazioni al premier, che poi le gira a Di Maio e Salvini. L’atteggiamento distaccato è valso a Tria il nomignolo di mister «authority indipendente», che i colleghi di governo gli hanno affibbiato.
Questo approccio, oltre a suscitare l’ironia di quanti lo osservano in Consiglio dei ministri, ha provocato anche l’irritazione del leader pentastellato: oltre alle ragioni politiche legate al fatto che M5S è pur sempre il partito di maggioranza relativa, e dunque meriterebbe un diverso grado di attenzione, c’è il sospetto che Tria possa raccordarsi con la Lega attraverso il sottosegretario alla presidenza Giorgetti, che riveste un ruolo centrale nella trattativa. È solo un «pensierino andreottiano» alimentato dalle tensioni? Ieri Giorgetti sosteneva che «entro la settimana» il governo scioglierà
Il soprannome «Mister authority indipendente»: così i colleghi chiamano il ministro dell’economia
il nodo più intricato, cioè le scelte per Cdp: «Mi ci metto d’impegno», ha scherzato prima di infilarsi nell’ennesimo vertice (senza Tria).
Ma c’è di più. A parte le mosse del ministro dell’economia, che innescano la reazione dei partiti di governo, c’è poi lo scontro tra i partiti di governo. E dietro il braccio di ferro sulle figure apicali di Cassa depositi e prestiti, dietro le mire sulle poltrone della Rai e soprattutto della direzione del Tg1, emerge per la prima volta nella maggioranza gialloverde il tema dei rapporti di forza tra Cinquestelle e Lega. L’altra sera, nel corso di un incontro tra gli sherpa, i grillini infatti hanno espressamente sottolineato la differenza di peso parlamentare e hanno rivendicato il «primato» del Movimento nella coalizione.
D’altronde sulle nomine si gioca una partita di potere che avrà anche un riflesso mediatico nella rappresentazione di vincitori e vinti. Su questa linea Salvini non appare intenzionato a cedere, e lo stallo su Cdp lo testimonia, nonostante le fondazioni bancarie — che hanno una quota di minoranza nella Cassa — stiano premendo sul governo perché chiuda subito la vertenza. Probabilmente il segretario del Carroccio sta alzando il prezzo per conquistare, oltre il Tg1, anche le Ferrovie a vantaggio di Bonomi. E magari per ottenere il via libera a cambiare i vertici dei servizi prima della scadenza, prevista dalla proroga nel febbraio del 2019.
Il gioco a incastro ripropone così la natura di un governo a tre teste: quella dei grillini, quella dei leghisti e quella dei tecnici che hanno nelle massime cariche istituzionali il loro vero punto di riferimento. E i nomi delle nomine lo dimostreranno.