Il pm: avanti con i sequestri alla Lega Ma la prescrizione «soccorre» Bossi
In Appello chiesti solo 22 mesi per il Senatùr: «Così venivano camuffati i conti»
La scure del tempo taglia il primo dei tre capi di imputazione di truffa ai danni dello Stato, ormai prescritto, e impone all’accusa di chiedere una riduzione della pena per gli imputati nel processo d’appello a Genova sui 49 milioni di euro di rimborsi elettorali 2008-2010 incassati dal Carroccio, quando a guidarlo era Umberto Bossi. Per il Senatùr vengono chiesti 22 mesi di carcere, otto in meno della condanna di primo grado, mille euro di multa e il sequestro del suo patrimonio personale.
Più di sette anni di indagini e processi non sono bastati per chiudere una vicenda giudiziaria tornata a far parlare di sé da quando la Lega è al governo e il suo leader attuale, Matteo Salvini, ha accusato la magistratura di fare politica contro il movimento dopo che la Cassazione ha dato il via libera al sequestro a tappeto dei fondi del partito anche nelle sue articolazioni regionali, per raggiungere la somma di 49 milioni da confiscare come «profitto del reato» incassato con gli «artifici e raggiri» di bilanci falsi. Richiesta rinnovata ieri anche dal procuratore generale. E sempre ieri il Tribunale del riesame di Genova ha detto sì al sequestro di 16 mila euro della Lega Toscana ritenendo che ci sia una «continuità patrimoniale» con la Lega Federale anche dopo che nel 2015 le «Nazioni» sono state rese indipendenti dal partito centrale. Fino al 2012 la normativa prevedeva il rimborso di 5 euro per ogni voto ricevuto. Incassati i soldi, i partiti dovevano pubblicare il bilancio indicando come li avevano spesi, pena la restituzione al Parlamento. Sarebbe stato imbarazzante per la Lega scrivere che più di mezzo milione se ne era andato in quegli anni per le spese della famiglia Bossi, dal terrazzo della casa di Gemonio alle «lauree» albanesi, dalle contravvenzioni alle auto dei figli Renzo e Riccardo. «La destinazione dei fondi a Bossi doveva essere tenuta nascosta» e allo stesso tempo, dice il sostituto procuratore generale Enrico Zucca, «si mettevano al sicuro i documenti compromettenti per usarli come arma di ricatto» contro il capo vecchio e malato. Erano solo una minima parte delle irregolarità, perché un «caos totale, deliberatamente organizzato, funzionale», camuffava «la stragrande maggioranza delle operazioni». Dalle casse uscirono, ad esempio, quasi 2,6 milioni per i quali, secondo la sentenza di primo grado, non c’è «qualsivoglia scritto formale» di giustificazione. Non si sa che fine hanno fatto. «Un andazzo andato avanti per anni» in quella stessa Lega che nella «sua prima ora» disegnava «l’immagine di uno Stato predone», ricorda il pg precisando subito, però, che il suo non è «un giudizio morale, ma la descrizione della deriva di una situazione di illegalità», perché «il processo politico non è dato in queste aule di giustizia», anche se questo processo «incide sull’opinione pubblica ed ha riflessi sulle istituzioni, come dimostra la presenza della Camera e del Senato come parti civili». Le uniche a costituirsi. Non lo ha fatto la Lega, che non ha ancora neanche presentato le querele, indispensabili dopo la riforma Orlando, per procedere per appropriazione indebita sia a Milano, su Bossi, il figlio Renzo e l’ex tesoriere Francesco Belsito, sia a Genova, in Appello contro Belsito, tanto che per lui, condannato a 4 anni e 10 mesi, il pg ha dovuto rinviare le richieste, che invece per i tre ex revisori dei conti imputati (Diego Sanavio, Antonio Turci e Stefano Aldovisi) sono state tra 15 e 32 mesi di reclusione. Se ne riparlerà il 18 settembre.
Il caso Belsito
Per la richiesta a carico dell’ex tesoriere Belsito il pg aspetta l’eventuale querela di Matteo Salvini