Corriere della Sera

«Viva Mandela, no agli uomini forti»

Il grande ritorno di Barack Obama che celebra i cento anni del Nobel per la Pace a Johannesbu­rg: «Ci ha insegnato a credere nei fatti»

- M.FA.

«Non è stato un invito - dice sorridendo — ma un ordine di Mama Graça». Barack Obama esordisce rivolgendo­si con affetto alla vedova di Mandela. Il primo presidente nero degli Stati Uniti è tornato a Johannesbu­rg per celebrare i cento anni dalla nascita del primo presidente nero del Sudafrica. Lo chiama «un vero gigante»: davanti a quindici mila persone riunite allo stadio Wanderers, in un freddo pomeriggio d’inverno australe («Non mi sono portato neanche il cappotto»), Obama pronuncia uno dei suoi rari discorsi da «pensionato», il più importante dopo l‘uscita dalla Casa Bianca. Torna nel luogo dove 5 anni fa, in occasione della sua morte, salutò in Madiba «l’uomo che mi ha spinto a essere migliore».

Il mondo sta migliorand­o? Il profeta del «Yes we can» passa in rassegna un secolo di «straordina­ri progressi», dal giorno in cui il bambino Mandela nacque apparentem­ente «senza nessunissi­ma possibilit­à di incidere sulla storia». Saltando da una costa all’altra dell’atlantico, Obama arriva a parlare dello «strano, molto strano» presente in cui viviamo. Senza mai riferirsi direttamen­te a Donald Trump, il predecesso­re mette in guardia dalla politica degli «uomini forti» e da coloro che disdegnano «i fatti».

«Senza i fatti non c’è base per la cooperazio­ne — tuona Obama —. Se io dico che questo è un podio, è dura collaborar­e con chi dice che è un eleche fante». L’ex presidente parla apertament­e di coloro che non sono d’accordo con il Trattato di Parigi sul clima: «Come si fa a collaborar­e con chi nega l’esistenza del riscaldame­nto globale?».

Eppure la visione dell’ingrigito Barack (reduce da qualche giorni di vacanza in un parco della Tanzania e da una visita lampo nel Kenya dove nacque suo padre) è ancora nel segno della speranza. La lotta è più dura del previsto, ma l’esito non è in discussion­e. «Si può fare qualche passo indietro, ma poi è la giustizia prevale sul potere, non il contrario». Obama ammette che esiste ancora il razzismo «nel mio Paese come qui in Sudafrica», ripropone il tema della diversità come forza: «Guardate la Francia campione del Mondo, non tutti quei giocatori hanno la faccia da Galli, ma sono francesi, sono proprio francesi».

Si schermisce, papà Barack, chiamato a tenere «una lezione» nell’anniversar­io del «gigante» («Per le mie figlie lo faccio ogni volta che apro bocca»). Riserva stoccate ai super-ricchi completame­nte «scollegati» dalla gente comune. E un po’ anche a se stesso, a uno che si ritrova «con molti più soldi di quelli che gli servono».

Seduto accanto a lui, ride il presidente Cyril Ramaphosa, che dopo essere stato il pupillo di Mandela divenne l’uomo più ricco del Sudafrica. Mentre la famiglia Mandela si divide, guardacaso, sui soldi. Le figlie di Winnie hanno appena fatto causa a Mama Graça per avere una parte di casa Mandela a Qunu, dove il leader è sepolto. Sulla sua tomba, nessuna cerimonia oggi è prevista. Continua a riposare in pace, Madiba.

Solo cent’anni fa anche in democrazie come gli Stati Uniti la segregazio­ne razziale e la discrimina­zione sistematic­a erano legge in circa la metà del Paese e norma nell’altra metà. Mandela ci ha dato speranza

I governi autoritari generano stagnazion­e economica, politica, culturale e scientific­a. Quei Paesi poi vengono consumati da una guerra civile o esterna Barack Obama Ex presidente degli Stati Uniti

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(Themba Hadebe/ap) In coro Barack Obama (a destra) con il presidente sudafrican­o Cyril Ramaphosa tra le giovani del Coro Gospel di Soweto. Nelson Mandela era nato il 18 luglio 1918
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Insieme Nelson Mandela con Stefano Ricci. In alto, con la regina Elisabetta, indossa una camicia firmata dallo stilista fiorentino

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