E il mistero dei Romanov si è risolto anche grazie al principe Filippo
Mosca al 100° anniversario dell’assassinio degli zar: sono loro. Decisivi i dna dei reali
MOSCA Dopo quella degli scienziati internazionali, è arrivata anche la conferma del Comitato investigativo russo: i resti riesumati negli anni Novanta nella foresta vicino ad Ekaterinburg sono proprio quelli dello zar e dei suoi familiari trucidati dai bolscevichi esattamente cento anni fa, nel luglio del 1918. Ma la Chiesa ortodossa continua ad essere molto cauta e, per ora, non accetta il verdetto. Il patriarca Kirill ha guidato nella notte tra lunedì e martedì una processione con centomila persone dal luogo dell’assassinio a quello dove la squadra della Ceka, la polizia segreta di Lenin, occultò i corpi in fosse di fortuna. Ma il patriarcato ancora non vuole sbilanciarsi: «L’indagine durerà tutto il tempo che occorre per arrivare alla verità».
Una ricerca lunga e complessa che in una prima fase si è avvalsa dell’aiuto di esperti internazionali e di membri della nobiltà europea. Dopo il ritrovamento delle spoglie nel bosco acquitrinoso ai piedi degli Urali, i genetisti guardarono alle famiglie nobili imparentate con i Romanov, compresi i Savoia-aosta, discendenti tramite i reali di Grecia dallo zar Nicola II. Il principe Filippo d’edimburgo, pronipote della Zarina Aleksandra, fornì il suo dna per una comparazione che confermò l’identità di alcune delle vittime.
I resti ritrovati nel 1991 vennero tumulati a San Pietroburgo nel 1998 con una cerimonia solenne alla quale partecipò la Chiesa ma non il patriarca di allora che continuava ad avere dubbi sull’identificazione. Lo stesso per i corpi dei figli dello zar, Aleksej e Maria, ritrovati in un secondo tempo e che ancora non sono stati sepolti nella Fortezza di Pietro e Paolo assieme agli altri componenti della famiglia.
Lunedì il Comitato investigativo ha confermato l’identità di tutti dopo nuovi esami. Per l’occasione sono stati riesumati i corpi del padre e del nonno di Nicola II, Alessandro III e Alessandro II e sono state effettuate nuove comparazioni del materiale genetico. Ma ieri un rappresentante della Chiesa, il metropolita Tikhon, ha espresso ancora cautela: «L’indagine non è ancora terminata e alcuni studi devono essere completati».
Dopo aver abdicato nel marzo del 1917, Nicola II venne tenuto prigioniero assieme a tutta la famiglia per più di un anno, con vari spostamenti, fuori Pietrogrado (come si chiamava allora San Pietroburgo), a Tobolsk in Siberia. Alla fine, dopo essere stata portata in una palazzina di Ekaterinburg, l’intera famiglia venne massacrata nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 da un plotone bolscevico. Assieme a Nicola e alla moglie Aleksandra, furono uccisi a colpi di fucile, di pistola e di baionetta i loro cinque figli, il medico personale, il cuoco, un valletto, una cameriera.
Caricati su un furgone, i corpi vennero portati nella foresta distante 21 chilometri, esattamente lo stesso percorso compiuto lunedì notte dalla processione con il patriarca. Poi, dopo maldestri tentativi di impedire un futuro riconoscimento con acido e con il fuoco, i poveri resti vennero gettati in una buca e ricoperti di terra. Aleksej e Maria furono occultati poco lontano. Il luogo venne scoperto in epoca sovietica da alcuni storici locali che mantennero la cosa segreta. Solo dopo lo scioglimento dell’urss fu possibile dissotterrare ufficialmente le salme. ● Dopo l’eccidio i bolscevichi tentano di rendere i corpi irriconoscibili e li gettano in una buca nella foresta