Corriere della Sera

«La gente a noi ci conosce A Roma se fai il nostro nome nessuno ti verrà a rompere»

- di Giovanni Bianconi

«A Roma semo i più forti», si vantava Guerino Casamonica detto «Chicco», che all’epoca aveva appena 24 anni, intercetta­to dalle microspie dei carabinier­i il 6 febbraio 2016. Ma in una vecchia intercetta­zione del settembre 2000 suo padre Giuseppe, il capoclan, era ancora più esplicito parlando della protezione assicurata nei locali notturni della capitale: «Se ci siamo noi, non avranno problemi di nessun genere... Andò stiamo noi nessuno viene mai a rompere il cazzo. Tu quando dici Casamonica, a Roma, hai detto qualcosa. La gente a noi ci conosce tutta. Siamo sei milioni, e sei milioni di persone ci conoscono».

«Come la ’ndrangheta»

Liliana Casamonica detta Stefania, sorella di Giuseppe e zia di Guerino, l’aveva spiegato nel 2015 a un calabrese legato alla ’ndrangheta, Massimilia­no Fazzari, che poi è diventato uno dei pentiti che accusano il clan: «Mi guarda e mi dice: “La famiglia nostra funziona un po’ come giù da voi in Calabria, mo’ non c’è Peppe (all’epoca detenuto, ndr), ma io vado al carcere, mi hai capito, no?”; intendeva che comunque Peppe era quello che comandava... Questo è uscito anche da Rocky (soprannome di Pasquale Casamonica, fratello di Giuseppe, ndr), una sera parlavano tra di loro, si atteggiava­no, si vantavano di questa cosa che loro sono mafiosi, insomma».

A volerla riassumere attraverso le carte giudiziari­e, l’epica criminale del clan di giostrai più famoso d’italia, sbarcato a Roma dall’abruzzo negli anni Settanta, è tutta nelle parole pronunciat­e dai suoi stessi appartenen­ti. Che hanno deciso di mostrarsi al mondo con il funerale-show che ha imbarazzat­o l’italia nell’estate del 2015, quello di «re Vittorio», completo di carro funebre trainato dai cavalli e la colonna sonora de Il Padrino imposta con le minaccia alla banda musicale. Sono quelli che il pentito Fazzari — arruolato perché amico dei trafficant­i calabresi fornitori di droga da vendere — definisce «come una famiglia di ’ndrangheta, sono tanti e organizzat­i bene, diventano potenti sia con i soldi che con i morti».

I numeri sono importanti: dell’elenco degli oltre trenta arrestati nell’operazione di ieri, la metà porta il cognome della dinastia. «Un gruppo di romani davanti ai Casamonica,

Il pentito «Gli altri non so’ nessuno Questi so’ pieni di fratelli e cugini e ti si mangiano come i topi di fogna»

non sono nessuno, anche se sparano, perché quelli sono tanti — insiste il pentito —. Ti si mangiano come i topi di fogna, dove vai vai, a Roma senti nomina’ un Casamonica, so’ pieni di fratelli e cugini che si muovono...».

Lusso e potere

Il capo Giuseppe, in una conversazi­one con un infiltrato dei carabinier­i, confermava: «Noi siamo proprio uniti, è la razza che è fatta in questa maniera». E Debora Cerreoni, che è stata sposata con un altro fratello di Giuseppe, Massimilia­no detto «Ciufalo», spiega: «Alla bisogna o nei momenti di difficoltà, tutti (e sono tantissimi) sono a disposizio­ne degli interessi della famiglia».

Farsi vedere numerosi e ricchi aiuta gli affari, che siano usura, estorsioni o droga. «I Casamonica sono malati di potere — racconta la pentita Cerreoni —, hanno la necessità di dimostrare che sono potenti e questo, dal loro punto di vista, si dimostra mediante i rapporti con altre organizzaz­ioni criminali e l’ostentazio­ne di un lusso sfrenato. Hanno una vera e propria fissazione per l’oro, le autovettur­e e gli orologi marca Rolex, una specie di segno distintivo». Oltre ai soldi a volte c’è da fare sfoggio della violenza, e così Giuseppe confida all’infiltrato che «agli albanesi gli abbiamo rotto le ossa e li abbiamo mandati via, se non mi credi a me puoi domanda’ in zona».

«Scappo in America»

Tutto serve ad aumentare il prestigio criminale e loro, dice ancora la Cerreoni, «sono perfettame­nte consapevol­i di avere un notevole potere intimidato­rio che esercitano nelle loro attività. I Casamonica incutono notevole timore e nessuno li denuncia mai».

Il riscontro arriva dalle (tante) intercetta­zioni e dalle (poche) testimonia­nze delle vittime: «Sono quindici anni che do i soldi e poi mi trovo in difficoltà... Io neanche sotto tortura li denuncerò»; «Ho iniziato a pagare le rate mensili di interessi per cinque, sette mesi, ma quando non ce l’ho fatta più ho deciso di scappare in America»; «Io ho paura dei Casamonica, anche perché ho un figlio piccolo, e per tale ragione non intendo rendere dichiarazi­oni a loro carico»; «Pasquale Casamonica iniziava a minacciarm­i dicendomi che il debito era arrivato a 16.000 euro proferendo queste testuali parole: “A me della libertà non me ne frega niente, se me succede qualcosa a me c’è chi viene pe’ me. Io mi accavallo”, facendomi intendere che avrebbe reperito una pistola, “e ti sparo”».

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I funerali di Vittorio Casamonica celebrati nella chiesa di Don Bosco nel quartiere Tuscolano il 20 agosto 2015 con la banda costretta a suonare le note de «Il Padrino»
(Proto) Stile Padrino I funerali di Vittorio Casamonica celebrati nella chiesa di Don Bosco nel quartiere Tuscolano il 20 agosto 2015 con la banda costretta a suonare le note de «Il Padrino»
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Da sinistra Salvatore Buzzi, Luciano Casamonica e l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno
(Foto Ansa) Insieme Da sinistra Salvatore Buzzi, Luciano Casamonica e l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno

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