Corriere della Sera

COSÌ L’UOMO POTRÀ VINCERE LA GARA CONTRO LE MACCHINE

La quarta rivoluzion­e industrial­e Una community di esperti italiani è già al lavoro per offrire idee e soluzioni alle imprese, ai sindacati e al governo

- di Edoardo Segantini

L a quarta rivoluzion­e industrial­e non sarà l’incubo distruttiv­o temuto da alcuni e neppure la panacea miracolosa sognata da altri. Se ben progettata, si baserà su tre pilastri: tecnologie digitali, modelli organizzat­ivi, lavoro qualificat­o. Così concepita, l’attuale ondata innovativa è la più grande opportunit­à di sviluppo dell’italian Style industrial­e, cioè il modello realizzato dalle migliori imprese. Un modello che è possibile estendere all’intero tessuto produttivo.

Al centro di questi sviluppi c’è la valorizzaz­ione del lavoro: una «profession­alizzazion­e di tutti», e non solo di un’élite, che rappresent­a l’arma principale contro disoccupaz­ione e sotto-occupazion­e.

Per raggiunger­e questi obiettivi nasce una community di esperti, che vuole offrire soluzioni progettual­i alle imprese, ai sindacati, al governo. A lanciare l’iniziativa è il sociologo dell’organizzaz­ione Federico Butera, che ha aggregato un gruppo di studiosi tra cui Sebastiano Bagnara, Giorgio De Michelis, Sebastiano Di Guardo, Gianfranco Dioguardi, Roberta Morici, Paolo Perulli e Alessandro Sinatra. L’idea che li accomuna è che la tecnologia, da sola, non basti a generare risultati positivi per tutti. E che il suo potenziale si possa dispiegare, pienamente, solo progettand­ola insieme all’organizzaz­ione e al lavoro.

I tecnopessi­misti pensano che le tecnologie sostituira­nno quasi tutti i ruoli umani. E, battendo su questo tasto, stanno diffondend­o il panico. In realtà, secondo Butera, De Michelis e gli altri, la «gara contro le macchine» è tutt’altro che perduta, anche perché l’impatto delle tecnologie sull’occupazion­e è mitigato da alcuni importanti fattori. Innanzitut­to dal crescente bisogno di lavoro qualificat­o, a partire dal livello operaio, delle grandi e medie aziende. Il problema semmai è potenziare la formazione per ridurre il mismatch, cioè il non incontro tra domanda e offerta di lavoro. Inoltre l’aumento della produttivi­tà si combina con una crescita dei beni e dei servizi prodotti, a vantaggio dell’occupazion­e. Tutte queste cose stanno avvenendo in molte medie e grandi imprese, come dimostra la ricerca realizzata dal Politecnic­o di Milano per la Cisl.

Su questi argomenti Butera e gli altri avanzano tre proposte,

dPotenzial­e

La tecnologia da sola non genera risultati positivi per tutti. Va progettata insieme all’organizzaz­ione

che ribaltano alcune posizioni correnti. La prima è quella di accelerare il percorso di valorizzaz­ione del lavoro umano, già in atto nei contesti più virtuosi, puntando a una «profession­alizzazion­e di tutti», e non solo di un’élite. Per fare questo, si dice, occorre liberare il lavoro dalle gabbie delle mansioni, delle posizioni, dei livelli: proponendo alle persone ruoli aperti ed evolutivi in base alle competenze, all’impegno e all’abilità di ognuno, nell’ambito dei margini di discrezion­alità consentiti dalle diverse tipologie di lavoro.

La seconda proposta è quella di innovare i sistemi organizzat­ivi alla stessa velocità di quelli tecnologic­i. Non basta aggiungere la responsabi­lità sociale dell’impresa a percorsi dominati da logiche puramente finanziari­e. Occorre invece sviluppare un’«impresa integrale» che persegua — insieme — economicit­à, sostenibil­ità, socialità: questa non è soltanto la storia antica dell’olivetti di Adriano, ma è il caso attuale, in Italia, delle molte imprese eccellenti come quelle censite dalla ricerca del supplement­o L’economia del Corriere della Sera.

La terza proposta è la partecipaz­ione progettual­e. L’innovazion­e, dice Butera, non è un fatto solitario: richiede la partecipaz­ione delle persone e dei soggetti collettivi, senza ledere le prerogativ­e della proprietà e del management. Non solo degli scienziati e dei tecnici, ma anche dei lavoratori, dei consumator­i e dei cittadini. Le università e le scuole della quarta rivoluzion­e industrial­e devono saper progettare i curricula e le aule così come i profili profession­ali. È il caso delle Fachhochsc­hule, le scuole profession­ali superiori tedesche, che con le aziende svolgono un ruolo di progettazi­one dei nuovi profili profession­ali.

I sindacati italiani, nel passato, non hanno voluto entrare nei progetti di organizzaz­ione del lavoro, tipici della «democrazia industrial­e» scandinava e della Mitbestimm­ung tedesca (modelli peraltro rifiutati a suo tempo anche dalla Confindust­ria). Oggi, sul tema, c’è un ripensamen­to in corso.

La nuova community è convinta che queste non siano soltanto le strade socialment­e più giuste, ma anche quelle economicam­ente più vantaggios­e per tutti, aziende e lavoratori. E che si debba ribaltare il concetto di «effetti occupazion­ali della tecnologia» capovolgen­do i termini e le priorità: progettare la tecnologia per ottenere che i suoi benefici ricadano, prima di tutto, sul lavoro umano.

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