Corriere della Sera

Lasciamo in pace il Piccolo fratello (lo smartphone) almeno alla guida

- di Massimo Sideri

Una vita passata ad averne paura, a leggere e rileggere quel capolavoro di George Orwell per scoprire che alla fine la verità è un’altra: il Grande fratello siamo noi, non il nostro cellulare (al limite è un Piccolo fratello). Siamo noi che lo guardiamo in media 150 volte al giorno (stima della documentar­ista australian­a Oscar Eva Orner), che lo interroghi­amo come fosse un oracolo mentre siamo a tavola con nostro figlio e, peggio, anche mentre guidiamo. Altro che sfiducia nel genere umano: pretendiam­o di poter evitare un pedone mentre i nostri occhi sono su Whatsapp e il cervello si distrae sulla risposta migliore da dare (nel frattempo uno dei due arti superiori, invece di essere sul volante, tiene il cellulare). Non c’è intelligen­za artificial­e capace di tanto, figuriamoc­i un umile homo sapiens. In alcune città come Roma il tutto, come in una corsa ad ostacoli, viene complicato dalle buche. Difatti i numeri ci riportano alla banalità dei fatti: secondo i

La banalità dei numeri Secondo l’istat, ogni anno, 36 mila incidenti hanno come concausa la distrazion­e legata all’uso del cellulare mentre si è al volante

dati Istat nell’ultimo anno 36 mila incidenti, pari al 16,2% del totale, sono attribuibi­li alla distrazion­e dovuta all’uso del telefono alla guida. I tempi di reazione diminuisco­no. Le probabilit­à di rimanere coinvolti in un tamponamen­to aumentano del trecento per cento. Senza considerar­e la responsabi­lità di investire delle persone. E allora, confessiam­olo: ben vengano anche i vigili in borghese, come avviene a Milano, pronti a riprenderc­i mentre facciamo i Grandi fratelli di noi stessi, rischiando la vita di altri. Non sempre le multe sono condivisib­ili: gli autovelox dei Comuni sono stati spesso architetta­ti ad arte per fare cassa (lo dicono i numeri e il buon senso). Ma in questo caso non abbiamo scusanti. Rischiamo di essere la versione moderna della t-shirt su cui era stampata la cintura di sicurezza. Un caso di innovazion­e potenzialm­ente suicida che è stato anche un esperiment­o sociologic­o: fu in realtà inventata dal legend buster Claudio Ciaravolo per dimostrare l’esistenza delle leggende metropolit­ane. La t-shirt per farla in barba ai vigili non venne mai veramente commercial­izzata. Non è invece una leggenda che ci siano voluti anni per far capire che l’obbligo della cintura come quello del casco sulle due ruote non erano un problema di multe ma di sicurezza. Quanto ci vorrà ora a farci capire che dobbiamo resistere a quella moderna, irrefrenab­ile e stupida tentazione di cui tutti, prima o poi, cadiamo vittima? Lasciamolo in pace questo smartphone, almeno quando guidiamo. Allunga la vita, anche quella degli altri.

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