Il Dna li divide il tressette li unisce Il Napoli si gode la luna di miele di Carlo e Aurelio
Ha alzato trofei ovunque, ha educato spogliatoi prestigiosi alla cultura del lavoro. E ha interagito con presidenti intolleranti, insinuanti e anche eclettici. Non bisogna stupirsi dunque se Carlo Ancelotti nel ritiro trentino della sua nuova squadra, il Napoli, riesca a convivere, e bene, con Aurelio De Laurentiis, un «capofamiglia» anche un po’ intransigente che gestisce il suo club da padre padrone. Trovare la chiave può essere stato più semplice del previsto e il rapporto sta nascendo sulla scorta delle affinità. Non si erano conosciuti fino alla firma del contratto, una sera di maggio nella sede della Filmauro a Roma. A loro era bastato parlare al telefono per intendersi. Si dirà: cosa unisce l’allenatore di Reggiolo che fa della calma la sua forza e della riservatezza lo stile di vita a un presidente effervescente, spesso sopra le righe e naturalmente cinematografico? Per ora nella residenza precampionato di Dimaro Carletto e Aurelio sembrano due amici di vecchia data: stessa passione per il cinema, per le barche e gli elicotteri. Stessa sana e antica abitudine di un cicchetto di grappa dopo cena davanti a un tavolo verde, dove chi immagina partite a bridge o a burraco, deve capitolare sul tressette e la calabresella. A nessuno dei due piace perdere, entrambi inveiscono contro il compagno se l’errore costa la partita. E c’è sempre il tempo per l’ultima rivincita. Al netto del lavoro, Carletto e Aurelio restano a disquisire di un buon
Armonia
L’immediata sintonia tra Ancelotti e De Laurentiis si basa sulla semplicità, tra comuni passioni e rispetto dei ruoli
vino, della qualità dello speck trentino e davanti allo strudel di mele entrambi fanno un passo indietro. C’è la linea (non di difesa) a cui dare conto. Quella riconquistata da Ancelotti grazie alle indicazioni di suo genero Mino Fulco (nutrizionista e biotecnologo) e quella a cui tiene da sempre De Laurentiis, con risultati alterni. Ecco, la condivisione della semplicità. E la comprensione
delle diversità. Questo per ora unisce presidente e allenatore, lontani per estrazione sociale e cultura. Il primo ha di fronte un uomo vincente, titolato e soprattutto aziendalista. Dettaglio non di poco conto per chi davanti alle follie economiche antepone il fair play finanziario. E che finora non aveva trovato consensi pieni da parte degli allenatori che aveva tenuto a libro paga. L’altro non ha bisogno di parlare, ha la fiducia e soprattutto il rispetto. Tanto basta per alzare un dito ed essere assecondato, pure rispetto alla punta da 30 gol che ha chiesto. Perché poi il potere si conquista senza abusi. Si è autorevoli anche cantando al tavolo dopo cena «‘O surdato nammurato», parlando allo staff con un confidenziale «tu» piuttosto che esigere il «lei». E se Aurelio sbotta, Carletto si allontana. Accade al contrario, se l’allenatore parla ai giocatori. Il presidente non interferisce, a lui interessa il risultato non il metodo. Nuvole di fumo scomparse nell’hotel Rosatti, posacenere finalmente lindi. Nessuno dei due ama troppo le sigarette, ma ad Aurelio erano dovute piacere, per tre anni. Aveva pagato multe salate in molti posti, dove il suo ex allenatore aveva ignorato il divieto. E nella suite di Carletto a Dimaro anche i materassi sono stati cambiati: l’odore di fumo si era impregnato. Vissero felici e contenti? Troppo presto per dirlo in luna di miele.