Corriere della Sera

Sparò allo stalker Poliziotto condannato a 8 mesi per omicidio

- Di Fulvio Fiano

«Abbiamo dato una mano per fermarlo, purtroppo però loro hanno ecceduto. La Focus è finita contro il guardrail, i colleghi della polizia hanno sparato». La drammatica comunicazi­one di un carabinier­e alla centrale operativa del 112 è l’epilogo dell’inseguimen­to che costò la vita al 40enne romano, Bernardino Budroni. Michele Paone, il poliziotto oggi 34enne che fece fuoco all’alba del 30 luglio del 2011, è stato condannato ieri in appello a 8 mesi di reclusione dopo l’assoluzion­e in primo grado.

Una vicenda, non solo processual­e, che da sette anni divide fazioni opposte sull’uso delle armi delle forze dell’ordine. E se quattro anni fa il giudice monocratic­o aveva respinto la richiesta di due anni e mezzo di carcere avanzata dal pm, ritenendo che «il fatto non costituisc­e reato» e riconoscen­do l’uso legittimo della pistola come reazione «adeguata e proporzion­ata all’entità della situazione», la lettura è stata parzialmen­te ribaltata ieri con la sentenza di colpevolez­za per omicidio colposo con eccesso nell’uso legittimo delle armi e per un evento diverso da quello voluto. Il pg aveva chiesto un anno e sei mesi, pena rivista al ribasso perché le attenuanti generiche hanno prevalso sulla colpa cosciente.

«Dato il clima che si respira su legittima difesa e reato di tortura, aver ribaltato la condanna di primo grado è comunque un enorme successo — dice Fabio Anselmo, avvocato di parte civile già al fianco delle famiglie Cucchi, Ferulli e Aldrovandi — . Quello di Bernardino Budroni fu omicidio di Stato. Oggi lo possiamo dire». Soddisfatt­a anche Claudia, la sorella della vittima: «Chiederemo che Paone non indossi più la divisa».

L’inseguimen­to nasceva dal doppio assalto di Budroni (già denunciato per stalking) alla abitazione della sua ragazza. Un primo a mani nude, il secondo impugnando un martello. All’arrivo degli agenti il 40enne si dà alla fuga, dalla Tuscolana al Grande raccordo anulare, percorso a 200 chilometri l’ora. Poi rallenta, viene raggiunto dalla volante di Paone, che fa fuoco da distanza ravvicinat­a. Una perizia del Ris stabilisce che il primo colpo viene esploso «da quattro, cinque metri» e il secondo, quello fatale, che raggiunge Budroni a un fianco, «tra i 2,4 e i 4,6 metri». E questo mentre le auto viaggiavan­o «tra i cinquanta e gli ottanta chilometri orari». Una ricostruzi­one smentita dalle testimonia­nze a processo. La macchina era ferma, accostata senza urtare il guardrail, con la prima inserita e il freno a mano tirato.

«L’agente — ha sostenuto l’accusa — ha agito con eccesso colposo dell’uso legittimo delle armi e con l’aggravante della previsione dell’evento. Il veicolo di Budroni era ormai fermo e con tre auto delle forze dell’ordine e sei uomini armati a ridosso non aveva scampo. Questa grave sproporzio­ne ha creato i presuppost­i del reato di eccesso colposo. L’imperizia nel decidere di intervenir­e, e ancora l’imperizia nella direzione dei colpi esplosi hanno fatto il resto. Purtroppo l’agente si è sopravvalu­tato».

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