Accorsi professore tra i calciatori: così si educa un campione ribelle
Film su un divo del pallone. Il regista D’agostini: ispirato anche da Balotelli
ROMA La serie A inizierà il prossimo 18 agosto. Ma all’olimpico Roma e Lazio sono già pronte a scendere in campo. Non è un’amichevole, siamo sul set de Il campione, opera prima di Leonardo D’agostini che lo ha scritto con Antonella Lattanzi e Giulia Steigerwalt. «Un doppio romanzo di formazione» secondo Stefano Accorsi, protagonista con Andrea Carpenzano. È la storia dell’incontro tra Christian Ferro — giovanissimo attaccante della squadra giallorossa, rockstar del pallone, concentrato esplosivo di talento e sregolatezza — e il professore chiamato a sedarne gli eccessi, Valerio Fioretti. «Lo spunto — racconta il regista, romano, classe 1977 — è arrivato da un articolo di cronaca su Balotelli al Milan, quando ne combinava una dopo l’altra e gli misero un tutor accanto». Poi l’idea si è evoluta. «Al centro c’è un giovane talento un po’ ribelle, alla Balotelli o anche alla Cassano, un divo ragazzino». Uno che a venti anni ha tutto quello che si può desiderare dalla vita. Salvo non sapere come viverla. «Le intemperanze nascondono un lato oscuro, buchi affettivi, difficoltà. La svolta arriva quando il presidente del club, interpretato da Massimo Popolizio, pone un aut aut: o metti la testa a posto o non giochi più».
Primo obiettivo la maturità. L’educazione del campione è affidata a Fioretti, un uomo in cerca di un terzo tempo, lavoro precario e matrimonio finito (la sua ex è Anita Caprioli). «Insegnava storia e filosofia in un liceo — lo descrive Accorsi —, si è ridotto a dare ripetizioni. È l’incontro tra due persone, due mondi che sembrano incompatibili, che cambia la vita a entrambi». Come già in Veloce come il vento di Matteo Rovere (qui produttore con la sua Groenlandia, insieme a Rai Cinema), lo sport è l’occasione per raccontare altro. «L’idea è che in certi momenti la posta in gioco possa essere altrettanto cruciale quanto sul campo di calcio. Momenti in cui puoi solo vincere o perdere. Vale per Ferro che deve coniugare una vita da rockstar, in balia della curiosità di pubblico e tifosi con la fragilità da ragazzo con problemi di apprendimento e vita familiare complicata». E vale anche per il prof: «Anche lui ha un esame da superare. Con se stesso».
D’agostini ha girato Il campione (uscirà nel 2019) anche a Trigoria, nella cittadella della AS Roma. Nella finzione scenica Ferro ha la maglia numero 24 (come Florenzi, ma le somiglianze finiscono qui), i suoi compagni di squadra si chiamano Van Cliff, Moretto, Milanovic, Piperno, Clementi, Richard. Il mister li incita: «Vi voglio carichi, voglio che la paura resti dentro l’armadietto». «Non è un film sul calcio — avverte il regista — ma siamo stati molti attenti a ricreare quel mondo». C’è una villa sontuosa con piscina, gli amici, la playstation, le ragazze.
Per prepararsi, Carpenzano, 22 anni, (Tutto quello che vuoi e La terra dell’abbastanza) ha fatto molta palestra. In testa un codino alla Ibrahimovic. Suoi i tatuaggi. «Il film ha cambiato il mio modo di pensare ai calciatori, ho provato a immaginare come possano essere le loro vite». Per esempio, come possa sentirsi un ragazzo di fronte a un suo maxi murale sulla parete di un palazzo. Al Trullo, periferia sud-ovest di Roma, troneggia la faccia di Christian/andrea. Lo ha dipinto lo street artist Jorit. Lo stesso che a Napoli ha fatto quello di Maradona.
Tutor
L’attore nei panni del tutor: incontro tra due persone che sembrano incompatibili