Corriere della Sera

LA NAZIONE HA ANCORA UN SENSO

- di Ernesto Galli della Loggia

L’Unione Europea è visibilmen­te in crisi, non riesce a fare alcun passo avanti in quanto soggetto politico (anzi negli ultimi tempi ne ha fatto parecchi indietro), ma l’ideologia europeista almeno un successo importante può continuare comunque a vantarlo. Essere riuscita a delegittim­are alla radice la dimensione della nazione in generale. Essere riuscita a farla passare come responsabi­le di tutte le sciagure novecentes­che e come il ricettacol­o delle più inquietant­i ambiguità ideologich­e, tipo quelle messe in circolazio­ne da Matteo Salvini con il suo sciovinism­o xenofobo a base di «prima gli italiani» e «padroni in casa nostra». Il risultato è che in pochi Paesi come l’italia ogni riferiment­o alla nazione appare, ormai, come il potenziale preludio di una deriva sovranista, di una dichiarazi­one di guerra antieurope­a, come sinonimo di sopraffazi­one nazionalis­tica. Non abbiamo forse sentito ripetere fino alla nausea, ad esempio, e dalle cattedre più alte, che gli Stati nazionali significan­o inevitabil­mente la guerra? Come se gli esseri umani avessero dovuto aspettare la Marsiglies­e, il Kaiser o Mussolini per trovare il motivo di scannarsi. Come se prima dell’esistenza dei suddetti Stati nazionali di guerre non ce ne fossero mai state, e come se i Romani, l’impero turco, gli Aztechi, gli Arabi dell’epoca di Maometto o mille altri non avessero tutti coperto di stragi e di morti ammazzati il proprio cammino nella storia.

Scenario Il tema della patria è stato regalato a chi manipoland­olo lo ha utilizzato per i propri scopi: è un inganno al quale non basta opporre il progetto europeista

Naturalmen­te l’ostracismo comminato alla nazione ha avuto effetto non tanto sulla gente qualunque, sulla maggioranz­a dell’opinione pubblica quanto nei confronti delle élites, della classe dirigente. Anche perché l’italia, si sa, non è la Francia. Da noi la cultura della nazione era già stata messa abbastanza nell’angolo dalla storia: non per nulla la Repubblica, nata e vissuta con l’obbligo di differenzi­arsi dal fascismo specialmen­te su questo punto, ha intrattenu­to a lungo un rapporto per così dire minimalist­a con la nazione. Come del resto le sue maggiori culture politiche fondatrici (quella cattolica e quella comunista), il cui sfondo ideologico non aveva certo molto a che fare con la nazione.

Cresciuto per decenni in questa atmosfera, l’establishm­ent italiano — in prima fila l’establishm­ent culturale — si è dunque trovato prontissim­o, dopo la fine della Dc e del Pci, a gettarsi nell’infatuazio­ne europeisti­ca più acritica. Trovandovi nuovo alimento non solo alla propria antica indifferen­za, al suo disinteres­se nei confronti di una dimensione nazionale giudicata ormai una sorta di inutile ectoplasma, ma per spingersi addirittur­a fino alla rinuncia della sovranità in ambiti delicatiss­imi come la formazione delle leggi. Mi domando ad esempio quante altre Costituzio­ni europee siano state modificate come lo è stata quella italiana nel 2001 con la nuova versione dell’articolo 117, che sottomette la potestà legislativ­a al rispetto, oltre che come ovvio della Costituzio­ne stessa, anche «dei vincoli derivanti dall’ordinament­o comunitari­o». (Sulla stessa linea, pur nella sua evidente vacuità prescritti­va, anche il primo comma aggiunto nel 2012 all’art. 97, secondo il quale «le pubbliche amministra­zioni, in coerenza con l’ordinament­o dell’unione Europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibil­ità del debito pubblico»).

È accaduto così, attraverso queste vie e mille altre, che il tema della nazione sia stato pian piano regalato a chi, manipoland­olo ed estremizza­ndolo, combinando­lo con i cascami

Da sapere Senza il concetto di nazione non ci sarebbero stati il liberalism­o e la democrazia moderna

del populismo, se ne è sempre più servito per i propri scopi agitatori. Espulsa dalla cultura ufficiale del Paese, tenuta in non cale dal circuito della formazione scolastica, non più elemento vivo costitutiv­o del modo d’essere e di pensare della classe dirigente, la nazione (o meglio la sua caricatura) è fatalmente divenuta patrimonio e strumento di una parte. La quale non ci ha messo molto ad accorgersi della sua capacità di aggregare, di commuovere, e anche di illudere, d’ingannare, se del caso di trascinare alla più vile prepotenza.

Cioè di trasformar­si in nazionalis­mo, appunto. Ma di chi la colpa principale mi chiedo, se non di coloro che, pur potendo e sapendo, per cecità ideologica hanno omesso di ricordare che cosa ha veramente rappresent­ato l’idea di nazione? Di illustrare e di far valere nella discussion­e pubblica la reale portata storica, le innumerevo­li conseguenz­e positive di quell’idea?

Senza la quale, tanto per dirne qualcuna, non ci sarebbero stati il liberalism­o e la democrazia moderna, la libertà religiosa, le folle di esclusi e di miserabili trasformat­e in cittadini, le elezioni a suffragio universale. Senza la quale non ci sarebbe stata la scuola obbligator­ia e l’alfabetizz­azione di massa, il Welfare e la sanità pubblica, e poi la rottura di mille gerarchie pietrifica­te, di tante esclusioni corporativ­e. Senza la quale infine — scusate se è poco — non ci sarebbe stata neppure l’italia. Cioè questo Stato scalcagnat­o e pieno di magagne grazie al quale, bene o male, però, nel giro di tre o quattro generazion­i (una goccia nel mare della storia) un popolo di decine di milioni di persone ha visto la propria vita migliorare, cambiare come dalla notte al giorno, in una misura che non avrebbe mai osato sperare prima.

All’inganno nazionalis­tico che incalza e che cresce non vale opporre la speranza sbiadita e senza voce, il disegno dai contorni tuttora imprecisi e imprecisab­ili, del progetto europeisti­co. Va opposta prima di ogni altra cosa, in tutta la sua forza storica, la cultura della nazione democratic­a. Che più volte — ricordiamo anche questo — ha dimostrato anche di sapere aprirsi al mondo superando i confini della propria patria con la sua carica emancipatr­ice volta all’umanità.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy