Corriere della Sera

LA NUOVA LEGGE SULLO STATO ISRAELIANO: I MOLTI INTERROGAT­IVI DI UNA SCELTA DISCUSSA

- di Antonio Ferrari

Che Israele sia lo Stato nazionale degli ebrei era chiaro da sempre. Che Israele, che non ha ancora una Costituzio­ne, si limiti a considerar­e, con un voto del suo Parlamento, la minoranza araba (quindi musulmana), che rappresent­a il 20 per cento della sua popolazion­e, come entità garantita da uno status speciale, è un passaggio ipocrita e poco adatto ad uno Stato che si dice democratic­o.

Il voto della Knesset, risicatiss­imo (62 a favore, 55 contro), salutato con enfasi dal premier Benjamin Netanyahu, è quanto di più ambiguo si possa immaginare. Israele, infatti, non ha finora accettato la soluzione dei due Stati — Israele e Palestina —, che vivano l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza. Con il voto di ieri esclude a priori la nascita di uno Stato binazional­e, che tenga conto delle due componenti del Paese: appunto, la maggioranz­a ebraica e la minoranza musulmana.

Il voto della Knesset, in realtà, si coniuga con la decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemm­e, un passo sempre evitato per non moltiplica­re tensioni regionali. Il problema è che con il voto di ieri viene legittimat­o il diritto dei settlers di occupare Territori palestines­i, anzi di poter ampliare colonie, fuori dai confini riconosciu­ti del Paese, che il mondo rifiuta perché in rotta di collisione con un possibile accordo condiviso tra le due parti in conflitto. La reazione dei partiti arabi, pur presenti alla Knesset, era scontata. Ma colpisce assai più la rivolta di deputati, anche conservato­ri, che rifiutano una decisione velenosa che mette a rischio la fede democratic­a di uno Stato nato e cresciuto in opposizion­e a qualsiasi discrimina­zione. @ferrariant

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