Stranieri penalizzati dal bonus affitti? È contro la Costituzione
Risale al 2008 e per il «bonus-affitti» era contenuto in un decreto legge Tremonti sulle «misure economicofinanziarie di stabilizzazione», ma quel sostanziale «prima gli italiani» somiglia tanto al «prima gli italiani» preannunciato adesso in tanti altri ambiti dalla quota leghista nel governo gialloverde. Ed è perciò doppiamente interessante la sentenza con la quale ieri la Consulta ha dichiarato incostituzionale la norma che, ai fini dell’accesso degli indigenti ai contributi per pagare il canone d’affitto stanziati dal «Fondo nazionale per il sostegno alle abitazioni in locazione», imponeva solo agli stranieri extracomunitari il requisito della residenza da dieci anni in Italia o da almeno cinque in una stessa Regione. Il Fondo di sostegno per quanti a causa del basso reddito non fossero in condizione di pagare l’affitto di casa era stato costituito nel 1998, con legge statale e soldi ripartiti dalle Regioni, ma dopo 10 anni il legislatore (decreto legge n. 112 del 2008 aveva introdotto un requisito aggiuntivo
La norma del 2008
Prevedeva contributi agli indigenti dalle Regioni, ma gli stranieri dovevano essere residente da 10 anni in Italia o da 5 in quel territorio
esclusivamente per i cittadini extracomunitari, e cioè la residenza decennale sul territorio nazionale o quinquennale sul territorio regionale. È questo requisito che ieri la sentenza della Consulta, redatta dalla vicepresidente Marta Cartabia, giudica incostituzionale per contrasto con l’articolo 3 della Carta perché irragionevole e discriminatorio, in quanto fa sì che l’accesso a un beneficio (volto ad alleviare situazioni di estrema povertà) sia subordinato alla permanenza dei cittadini extracomunitari sul territorio nazionale e regionale per una durata sproporzionata ed eccessiva. Nella questione sollevata dalla sezione Lavoro della Corte d’appello di Milano, in una causa promossa con l’avvocato Alberto Guariso dall’«asgiassociazione per gli studi giuridici sull’immigrazione» per conto di una inquilina salvadoregna contro la Regione Lombardia, la Consulta non esclude in linea teorica che il legislatore possa richiedere il possesso di requisiti lavorativi o anche residenziali che documentino il radicamento sociale di chi domanda l’ammissione a un contributo pubblico: ma questi requisiti non possono mai eccedere i confini del rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza e non discriminazione, nonché della normativa europea. In maggio la Consulta aveva già dichiarato incostituzionali due leggi regionali, rispettivamente di Liguria e Veneto, che assegnavano titolo preferenziale o fondavano su criteri temporali di residenza, contemplati solo per gli extracomunitari, l’assegnazione delle case popolari e l’ammissione agli asili nido.