Corriere della Sera

Salvini fa da sponda per ottenere la Rai e i Servizi

Il leghista preferisce vantare crediti anche per la flat tax

- Di Francesco Verderami

Itre governi reggono, per ora. L’intesa su Cdp tra grillini leghisti e «tecnici» è frutto di una congiunzio­ne astrale che in politica aiuta chi cerca soluzioni: Di Maio doveva chiudere, Tria non voleva dimettersi e Salvini ha chiuso il cerchio.

Sulla scelta per Cassa depositi e prestiti la situazione nell’esecutivo si era aggrovigli­ata al punto da non trovare più il bandolo della matassa. L’idea di «spacchetta­re» i vertici, dividendo il ruolo dell’amministra­tore delegato con quello del direttore generale, si scontrava con il problema delle competenze e con le aspirazion­i dei due candidati. Per di più le questioni tecniche si erano trasformat­e in un nodo scorsoio politico per il capo dei grillini. Di Maio rivendicav­a la nomina alla forza di maggioranz­a relativa, sapendo che un ennesimo rinvio avrebbe pesato sull’immagine dei Cinquestel­le e soprattutt­o sulla sua, posta quotidiana­mente a confronto con il protagonis­mo di Salvini.

Salvini, che pure era pronto ad accettare la proposta di Tria per affidare a Scannapiec­o la guida di Cdp, ha colto al volo le obiezioni del candidato, «onorato» per essere stato indicato ma poco propenso ad accettare incarichi dimezzati. Così, consigliat­o dal sottosegre­tario Giorgetti, ha deciso di forzare la mano a favore dell’altro vice premier. A patto però che non si creassero corto-circuiti con il responsabi­le di via XX Settembre, perché il governo non avrebbe retto un simile scossone. Verificato che la mossa non avrebbe avuto controindi­cazioni, siccome Tria non si sarebbe dimesso, ha accolto l’operazione di ridimensio­narlo senza silurarlo.

Nel gioco del dare e avere i tre governi hanno trovato un equilibrio, e se con la scelta di Palermo al vertice di Cdp Di Maio può sbandierar­e finalmente un successo, Salvini ha validi motivi per poter dire di averne tratto vantaggio. Intanto ha guadagnato «crediti» da poter sfruttare nelle trattative con l’alleato sulle altre nomine. È vero che c’è un metodo codificato tra M5S e Lega, è la parte non scritta del «contratto», che prevede un rapporto di 2 a 1 in base ai rapporti di forza parlamenta­ri: «Ma poi questo schema — come spiega Salvini — non è rigido, varia a seconda delle competenze». E sono altri i settori ai quali mira il leader del Carroccio: dal nuovo assetto della Rai alla ristruttur­azione dei vertici dei servizi.

In più il ridimensio­namento di Tria è funzionale a un altro obiettivo: la partita sulla legge di Stabilità. Quando il titolare del Viminale sostiene che «verranno momenti difficili» è alla Finanziari­a che si riferisce. Già sul decreto dignità, farà valere in Parlamento il favore appena reso a Di Maio su Cdp. Convinto che «il lavoro non si crea per decreto», chiederà (e otterrà) nuove modifiche al provvedime­nto, in modo da mostrarle a quel pezzo del suo elettorato ostile all’atto di governo. «Poi ci sarà da lavorare su Equitalia e sulla flat tax». Insomma, per Salvini la rivoluzion­e fiscale val bene una poltrona. Anche perché — come gli è stato spiegato — quel posto non si rivelerà una moltiplica del consenso per chi crede di averla conquistat­a: «Nemmeno Renzi nel suo momento migliore ci riuscì».

I tre governi

Con l’intesa su Cdp reggono per ora i tre governi di grillini, leghisti e tecnici

Le parole di Savona

Savona pochi giorni fa si sentiva quasi in colpa per le mosse di Tria che pure aveva consigliat­o

Se così stanno le cose, perché non assecondar­e le esigenze dell’alleato e guadagnare ulteriore forza nella sfida di posizionam­ento? Salvini sa che Di Maio è sotto pressione, anche per via del dicastero che ha scelto. Il caso Ilva è un ginepraio, e per il ministro del Lavoro è difficile trovare una «terza via» tra l’idea del parco giochi avanzata da Grillo e l’offerta di rilancio del centro siderurgic­o avanzata da Mittal. Quando Di Maio ha incontrato al dicastero l’uomo da 13 miliardi di dollari, ne ha saggiato la durezza: «Ma voi ce l’avete un master plan su Taranto?». E l’ospite è stato sul punto di alzarsi e andarsene. Come non bastasse, altri dossier si impongono sulla sua scrivania. Per esempio, non è passato inosservat­o il fatto che — durante la visita a Baku di Mattarella — sia stato garantito al governo azero l’arrivo del loro gas in Italia. Giorni dopo, gli attivisti «No Tap» hanno contestato la grillina Lezzi, ministro del Sud, equiparata «a quelli del Pd».

I tre governi reggono per ora. Ma quando si parla di futuro nel Carroccio, l’ottimismo della volontà di Salvini finisce per scontrarsi con il pessimismo della ragione di Giorgetti. Finché il leader non pone fine alla discussion­e: «Andiamo avanti e vedremo cosa accadrà. Secondo me il governo reggerà». Si ma quali promesse elettorali verranno esaudite? E chi le gestirà all’economia? Tria rischia di essere il punto di rottura. Nell’ultimo periodo è rimasto tutto fermo a via XX settembre: «Dopo le nomine, di questo ne parliamo dopo le nomine», prendeva tempo il titolare del dicastero. Seduto in Consiglio dei ministri, una settimana fa, Savona si sentiva quasi in colpa osservando le mosse del suo «pupillo», che pure aveva consigliat­o per quella poltrona: «Mi sa che non è abbastanza coraggioso», ha sospirato con un collega di governo.

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A Milano Il ministro dell’interno Matteo Salvini, 45 anni, ieri mentre lascia la sede della Lega di via Bellerio dopo il Consiglio federale
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