Il tecnico «politico» che ha dato garanzie sul rispetto del patto di governo
«Abbiamo fatto la scelta migliore», rivendicano i Cinquestelle. «Fabrizio Palermo? Mi piace molto», dice Matteo Salvini. Il 47enne manager perugino, sposato, due figli, nel giorno della sua designazione ad amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti — la vera cassaforte del Paese con 420 miliardi di attivi e 4,5 miliardi di utili — riceve così un appoggio esplicito da entrambi i partiti di governo. Fino a pochi giorni fa era dato come direttore generale in tandem con Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei, come amministratore delegato. Ma poi lo stesso manager, forte dell’appoggio M5S, si sarebbe impuntato per il ruolo di capoazienda.
Palermo, che è già in Cassa depositi con il ruolo chiave di direttore finanziario, è stato scelto in realtà per il suo profilo tecnico, di esperto. Tuttavia sarà inevitabilmente anche una figura di rilievo politico, avendo dato garanzie di esecuzione del «contratto di governo» Lega-m5s. «Anche a lui è stato chiesto di condividere il nostro programma», svela un esponente Cinquestelle. «Da questo dipende perfino parte della sua retribuzione»: i bonus variabili saranno parametrati al raggiungimento degli obiettivi indicati in quel programma, a cominciare dalla creazione della «Banca pubblica degli investimenti» che nelle intenzioni del governo deve partire già entro quest’anno.
Amico di lunga data dell’amministratore delegato della romana Acea, il pentastellato Antonio Donnarumma, sarebbe stato lui a introdurlo ai vertici del Movimento. Ma non sarebbe per questa via che Palermo è entrato nella rosa dei papabili. In Cdp gli riconoscono il merito di avere ristrutturato la struttura finanziaria della Cassa, anche con l’emissione di bond, riequilibrando il rapporto tra raccolta (i depositi postali) e impieghi a lungo termine.
A Palermo sarà richiesto di potenziare l’attività della Cassa nell’economia reale e di rimettere ordine nella galassia delle società partecipate. E dovrà districarsi tra i vari dossier aperti, da Tim alle perdite registrate dal Fondo Atlante, del cui comitato investitori Palermo è membro. Ma il manager dovrà anche tenere dritta la barra, per non lasciare coinvolgere la Cassa in operazioni spericolate — come l’ennesimo salvataggio dell’alitalia — che le Fondazioni, soci di minoranza, non vogliono. Lo aiuteranno i paletti rigidi dello statuto e la volontà dell’esecutivo di non inciampare nelle regole Ue sugli aiuti di Stato e nei vincoli di Basilea sul patrimonio delle banche (nessuno vuole trasformare Cdp in banca).
Chiaro il mandato anche per il presidente Massimo Tononi, scelto dalle Fondazioni, con cui ieri Palermo si è sentito al telefono. I due si sono conosciuti nel 2006, quando il primo era sottosegretario all’economia e il manager si faceva le ossa come direttore finanziario (cfo) di Fincantieri. È lì che Palermo avvia la carriera nelle aziende di Stato. Laurea cum laude in Economia alla Sapienza, Palermo ha iniziato come analista finanziario a Londra in Morgan Stanley e poi ha passato sette anni, dal 1998 al 2005, in Mckinsey specializzandosi in operazioni di risanamento e rilancio di grandi gruppi. Nel 2005 arriva in Fincantieri, con un incarico a riporto del capoazienda Giuseppe Bono, un anno dopo ne diventa cfo e nel 2011 anche vice direttore generale. Lascia nel 2014 per passare alla Cdp.
Ma Fincantieri gli resta nel cuore (nel suo ufficio si trovano foto e riproduzioni di navi) e nel 2016 entra nel consiglio del colosso cantieristico, seguendo anche il delicato dossier dell’alleanza con la francese Stx. Ma Palermo conosce bene tutte le partite pesanti di Cassa: è nel consiglio di Open Fiber, la società Cdp-enel che sta posando la banda larga. E con Atlante ha toccato con mano le difficoltà delle banche. Un’avventura costata centinaia di milioni alla Cassa.