Corriere della Sera

I democratic­i provano a interrogar­e l’interprete

Cosa si sono detti a Helsinki? La teoria dello «scambio» tra Russiagate e Nord Corea

- di Giuseppe Sarcina DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

WASHINGTON Per molte ore le uniche smozzicate informazio­ni sul vertice di Helsinki sono arrivate da fonti ufficiali russe. Basta questo dato per descrivere la surreale anomalia del vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin. Al momento nell’amministra­zione di Washington solo tre persone sanno che cosa si sono detti i due leader: il Segretario di Stato, Mike Pompeo, il consiglier­e per la sicurezza John Bolton, che facevano parte della delegazion­e, e il Segretario alla Difesa James Mattis. Il capo del Pentagono era rimasto nella capitale americana, ma è stato il primo interlocut­ore che il presidente ha visto al suo rientro, martedì 17 luglio, nello Studio Ovale.

Servizi segreti e Congresso sono totalmente all’oscuro. I parlamenta­ri democratic­i hanno provato la mossa della disperazio­ne, un’iniziativa senza precedenti: convocare come testimone davanti al Congresso l’interprete Marina Gross, l’unica americana sempre presente durante il summit tra i due leader. Mozione respinta dai repubblica­ni. E certamente, in una situazione di normalità, non spetta certo all’interprete svelare al mondo il contenuto di un colloquio ai massimi livelli.

I consiglier­i della Casa Bianca, ieri, hanno fatto filtrare in modo anonimo quali saranno i temi del summit d’autunno. Come riporta l’agenzia Ap: «Interferen­ze nella campagna elettorale, la proliferaz­ione nucleare, l’iran e la Siria. I due leader continuera­nno il dialogo iniziato a Helsinki»

In realtà la tesi più quotata a Washington, specie al Congresso, è che durante il vertice finlandese sia maturato uno scambio: Trump ha garantito che avrebbe minimizzat­o il dossier sulle interferen­ze russe nelle elezioni presidenzi­ali del 2016; Putin ha promesso più impegno per facilitare il negoziato con la Corea del Nord e, soprattutt­o, per uscire dalla crisi siriana, contenendo il ruolo dell’iran.

Nelle indiscrezi­oni si fa riferiment­o anche al New Start, il trattato per la riduzione delle armi nucleari, firmato da Barack Obama e da Dmitri Medvedev nel 2010. L’accordo scade nel febbraio del 2021. Non risulta, però, che i due leader ne abbiano parlato nei dettagli. Avrebbero, invece, concordato di lasciare la prima analisi alle strutture militari. Nei mesi scorsi, sempre a Helsinki, si sono già confrontat­i i capi di Stato maggiore delle due parti.

Su un punto, però, c’è consenso diffuso. Trump ha tenuto la linea sulle sanzioni imposte a Mosca dopo l’annessione della Crimea, nel 2014. «Ma Putin — racconta Teja Tilikainen, direttrice dell’istituto di Affari internazio­nali di Helsinki e specialist­a di politica russa — non ci aveva fatto grande affidament­o. Sapeva che non ci sono ancora le condizioni, né negli Stati Uniti né in Europa, per cancellare le misure punitive».

L’ucraina, dunque, non dovrebbe figurare nell’agenda del Trump-putin bis.

Unica testimone Marina Gross, traduttric­e al summit, è stata «blindata» dai repubblica­ni

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