Corriere della Sera

Bruxelles vista dalla Svizzera «Se non decentra, l’ue imploderà»

Il ministro degli Esteri di Berna, Cassis: «È bello essere padroni a casa propria»

- Di Andrea Nicastro

«B ruxelles ha accentrato troppi poteri e l’unione Europea è a rischio implosione». «I partiti tradiziona­li malati di presunzion­e non hanno capito l’umore dei cittadini». «La cosa più bella? Essere padroni a casa propria». «Gli asilanti? 140 giorni per esaminarli e se non hanno i requisiti tornano a casa loro».

Pensieri e parole di Matteo Salvini? No, Ignazio Cassis, svizzero del Canton Ticino, da novembre scorso uno dei sette «saggi» che governano la Confederaz­ione. Con lui il vento populista, sovranista, identitari­o che soffia da Est è arrivato anche a Berna.

Con la Gran Bretagna fuori dall’ue, vi sentirete meno soli?

«Mentre noi perfezioni­amo il concubinat­o con l’unione, Londra sta celebrando un divorzio. Sono esperienze lontane. In più il Regno Unito è l’erede di un impero globale, forte di una lingua che si è imposta come standard internazio­nale, con una religione sostanzial­mente unica. Noi siamo invece un piccolo popolo con lingue, religioni e culture diverse, uniti dalla volontà di essere padroni in casa nostra».

Comunque fuori dall’europa.

«Non tifiamo contro l’ue. Sappiamo che se i nostri vicini hanno il raffreddor­e, a noi viene l’influenza».

Però non avete mai voluto dare una mano alla «casa comune».

«Non direi. Abbiamo costruito tunnel ferroviari e autostrada­li gratuiti per gli altri Paesi europei. Ospitiamo 1,5 milioni di cittadini Ue e diamo lavoro a 230mila frontalier­i. E sono solo esempi».

Ma niente integrazio­ne.

«Nel 1992 gli svizzeri hanno detto no allo spazio economico europeo. Fatte le debite proporzion­i, quella scelta ha un peso storico simile a quanto avvenne nella battaglia di Marignano (oggi Melegnano, nel milanese) 500 anni fa. Su 20mila svizzeri ne morirono 14mila e quelli che tornarono a casa scelsero la neutralità. Da allora abbiamo ascoltato il nostro patrono San Nicolao di Flue: “Fate i vostri interessi in casa vostra e lasciate stare gli altri”. Entrare in Europa avrebbe interrotto sia l’indipenden­za sia la neutralità».

L’UE ha garantito 70 anni di pace anche a voi.

«E ne siamo contenti, ma è una costruzion­e fatta di materiali politici che non sono nostri. Francia, Germania, Italia si affrancano tutte da un monarca eppure ne conservano il verticismo. Persino oggi, guardando qualche presidente francese si coglie l’antico spirito imperiale. La Germania discute 6 mesi per mettere assieme socialisti e democristi­ani nella Grande Coalizione. Noi invece abbiamo la Coalizione Globale e da destra a sinistra governiamo tutti assieme. Le idee dei partiti vengono frullate e ne esce una soluzione di compromess­o».

Il trionfo del pragmatism­o.

«Non abbiamo altra possibilit­à. Tra noi 26 Cantoni andiamo d’accordo. Come? Ognuno ha un grosso margine di potere, per semplifica­re direi che fa un po’ quello che vuole. Nel caso dell’ue, abbiamo la fobia del centralism­o e non vogliamo rischiare che a comandarci sia Bruxelles. L’europa pensa già a una fiscalità comune? Noi dopo secoli non ne abbiamo ancora una federale. Quella che c’è è confermata ogni 15 anni per referendum».

Il problema è il moloch di Bruxelles?

«L’UE è nata da poco e più giovane è una democrazia e più forte è il potere centrale. La Commission­e Europea infatti è un organo fortissimo. Per noi sarebbe uno choc. E visto il clima continenta­le degli ultimi anni credo che se non saprà decentrare, l’europa rischia di implodere».

È giusto cogliere di fiore in fiore quel che fa più comodo?

«Questa sua lettura è molto romantica e un po’ tendenzios­a. La verità è che tutti i Paesi scelgono quel che più gli conviene. Gli Stati sono comunità di interessi, se non difendono

il proprio perdono la loro ragione di esistenza».

Quando gli Usa vi hanno imposto la trasparenz­a bancaria non siete riusciti a difendervi.

«Vero, però siamo bravi anche ad abbassare la testa quando necessario. Come in tutti i rapporti bilaterali, un po’ si perde un po’ si vince. Per noi è stato meglio abolire il segreto e continuare ad offrire servizi finanziari piuttosto che soccombere».

Voi rimpatriat­e i migranti clandestin­i. Come ci riuscite?

«Tramite accordi con i Paesi d’origine».

Cioè? Pagate?

«No, ma i buoni rapporti legati anche agli investimen­ti svizzeri in quei Paesi permettono di trovare le migliori soluzioni nell’interesse reciproco».

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