Corriere della Sera

La pista della vendetta sul pedofilo «Non l’avremmo mai perdonato, ma non gli abbiamo sparato noi»

Benevento, interrogat­i i parenti della ragazzina che fu sua vittima

- di Fulvio Bufi DAL NOSTRO INVIATO

FRASSO TELESINO (BENEVENTO) Lucio Iorillo al suo avvocato lo ha detto subito: «È ovvio che adesso sospettera­nno di noi, però non c’entriamo niente». Lui è riuscito pure a rimanere tranquillo quando, intorno a mezzanotte, si è visto i carabinier­i davanti alla porta di casa che gli chiedevano di entrare a dare un’occhiata perché era appena stato ammazzato l’uomo che poco più di dieci anni fa abusò per un lungo periodo della figlia di Lucio, Michela, appena quattordic­enne quando tutto iniziò.

Una storia tragica: Michela non raccontò nulla in casa, ma dopo un paio d’anni di quella vita si uccise, e solo allora venne fuori il suo incubo, si scoprì che quell’uomo molto più grande di lei, Giuseppe Matarazzo, un vicino di casa, l’aveva completame­nte soggiogata, e che in precedenza aveva abusato anche della soriaperta rella di Michela, Cristina.

Ora Matarazzo è stato ucciso, con cinque colpi di pistola, pochi giorni dopo essere uscito dal carcere dove aveva scontato una condanna a undici anni per quelle violenze. E Lucio Iorillo non muove un muscolo, quando glielo dicono. Piuttosto si preoccupa per sua moglie Maria Immacolata, che invece ha quasi un collasso, perché — spiegherà poi — a sentire quel nome le si è la ferita che si porta sul cuore dal giorno dell’epifania del 2008, quando Michela si impiccò. E anche perché pure lei si rende conto che non si può non sospettare di loro. Avevano un motivo fin troppo valido per odiare Matarazzo, e certe cose non passano con il tempo.

Lo avevano pure detto al comandante della stazione dei carabinier­i del paese, che qualche mese fa li aveva convocati per chiedere se volessero fare una dichiarazi­one di perdono in favore di Matarazzo.

È una richiesta abituale che si fa alle parti civili quando un condannato ha maturato il diritto di accedere a permessi o a misure detentive attenuate, ma in questo caso era anche un po’ un tentativo di mediazione visto che ormai a breve Matarazzo comunque sarebbe tornato a casa, e quindi gli Iorillo lo avrebbero sicurament­e incontrato.

Loro comunque dissero no, non avevano nessuna intenzione di perdonare quell’uomo che seppure per l’induzione al suicidio non era stato condannato, aveva comunque rovinato la vita di Michela e quella di tutta la famiglia.

Lucio è un pastore, come lo era anche Matarazzo, e dei patato stori ha la naturale confidenza con la solitudine e il silenzio.

Quella volta in caserma fu educato ma fermo, e liquidò la questione quasi a monosillab­i. E in silenzio è rimasto pure quando gli è stata perquisita la casa, ha solo telefonato al legale che lo seguì durante il processo, l’avvocato Raimondo Salvione, chiedendog­li di raggiunger­lo.

Quando, però, è stato ascol- in caserma durante le prime ore di indagini, non ha avuto bisogno di un difensore, perché non è indagato.

Gli hanno chiesto dove si trovasse l’altra sera all’ora dell’omicidio, e lui ha risposto che era a cena da parenti, ben lontano da contrada Selva, la zona di campagna dove, a pochi metri di distanza, abitano le famiglie Iorillo e Matarazzo.

E non è lontana nemmeno la casa di Rocco, l’unico figlio maschio di Lucio, che pure ha subito una perquisizi­one, giovedì notte. E se dall’abitazione del padre i carabinier­i non hanno portato via niente, qui si sono fatti consegnare i due fucili da caccia che l’uomo possiede, con tutte le necessarie autorizzaz­ioni. Anzi, è stato lui stesso ad andarli a prendere per darli ai militari. Del resto la sua passione per la caccia in paese è nota, ed è risaputo pure che avesse delle armi.

Ora i fucili saranno esaminati, ma non dovrebbero avere nulla a che fare con l’agguato, visto che Matarazzo è stato ucciso con una calibro 38. Pare che mentre stava entrando in casa qualcuno in auto gli abbia chiesto una indicazion­e, e quando lui si è avvicinato gli hanno sparato.

Se la ricostruzi­one è esatta, si dovrebbe trattare di persone a lui sconosciut­e, che ora i carabinier­i — coordinati nell’inchiesta dal procurator­e di Benevento Aldo Policastro e dall’aggiunto Giovanni Conzo — stanno cercando di individuar­e anche visionando le registrazi­oni delle telecamere che si trovano in zona.

Le indagini Perquisizi­oni nelle case dei familiari L’agguato da un’auto con una calibro 38

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