Corriere della Sera

I farmaci per le malattie rare ci sono ma costano troppo: bisogna ricalcolar­ne il valore

La comunità scientific­a su «Lancet»: nuove politiche sui prezzi

- di Giuseppe Remuzzi

Una volta le malattie rare — tutte insieme sono più di 7.000 — le chiamavano orfane. Di cosa? Di diagnosi, prima di tutto e poi di voglia di investire da parte dell’industria (il mercato per ciascuna di queste malattie è piccolo e il ritorno non copriva nemmeno i costi della ricerca) così anche i farmaci li chiamavano «orfani». Adesso di orfano non c’è quasi più nulla; incentivi fiscali e altre condizioni di favore hanno portato a nuovi farmaci e grandi profitti. Sono quasi 600 i farmaci registrati dalla Food and Drug Administra­tion negli ultimi 30 anni, mentre l’ema ne ha registrati 142 dal 2000 a oggi (94 di questi sono disponibil­i in Italia).

È vero che non tutti questi farmaci hanno cambiato la qualità di vita degli ammalati, ma qualcuno sì, salvo che sono costosissi­mi. Un esempio: la forma genetica di una malattia dei bambini — si chiama sindrome emolitico–uremica — prima aveva un decorso drammatico e certe volte si moriva, adesso non si muore più. Possibile? Sì, e tutto per via di un farmaco che ha del miracoloso; dopo le prime infusioni la malattia sparisce ma per evitare che ritorni bisogna infondere questo farmaco ogni quindici giorni, per sempre. E un anno di trattament­o costa 330 mila euro se sei un bambino e 460 mila per un adulto; il costo di una Ferrari (e per evitare di tornare ad ammalarsi è come se si dovesse comperare una Ferrari all’anno). Chi potrà mai permetters­i delle cifre così? Direte voi.

In Italia queste spese le affronta il Servizio Sanitario, ma i governi di molti altri Paesi (Scozia e Australia per esempio, e poi certe parti del Canada, oltre a Turchia e tutti i paesi dell’est) il farmaco non lo rimborsano. Per non parlare dei Paesi poveri: Africa, India e molte parti dell’america Latina. Lì alle mamme di bambini che stanno per morire si dice «il farmaco per curarlo ci sarebbe ma costa troppo e qui non ce lo possiamo permettere...» (ma è mai possibile che a un medico si chieda di fare un ragionamen­to così?). E tutto questo succede perché non ci sono regole, l’industria chiede ai governi o alle assicurazi­oni quello che pensa di poter ottenere, come se si trattasse di un profumo o di un abito.

Se ne sono accorti persino negli Stati Uniti. «Non possiamo più ignorare l’elefante in salotto» ha detto qualche tempo fa Karen Ignagni, presidente dell’america’s Health Insurance Plans. E ancora: «Quando è troppo è troppo». «Di questo passo saltiamo in aria tutti». Con chi ce l’hanno le compagnie di assicurazi­oni? Con l’industria dei farmaci e in particolar­e con Gilead Science che ha un farmaco per l’epatite C che funziona in nove casi su dieci, insomma si guarisce ma costa troppo. Il punto di vista dell’industria è che si dovrebbe mettere in conto anche il valore del guarire, «anche questo ha un prezzo». Giusto, ma il prezzo chi lo stabilisce? Gilead nelle prime dodici settimane di mercato aveva già venduto per circa sei miliardi di dollari. Non è un po’ troppo? A questo punto il Direttore del Lancet decide di organizzar­e un Convegno sul prezzo dei farmaci per le malattie rare e chiama esperti dall’europa e dal Canada che, sotto la guida di Lucio Luzzatto, ne discutono per due giorni interi e per molti mesi dopo. Così si arriva a un documento — «Viewpoint» — che verrà reso pubblico oggi da Lancet con indicazion­i precise su quali dovrebbero essere i criteri per stabilire il vero «valore» di un farmaco nuovo (dipende dal tipo di malattia e dai costi per chi lo produce, quelli veri però).

Si deve naturalmen­te tener conto di quanto l’industria ha dovuto spendere per quelle molecole che non sono mai diventate un farmaco ma anche dei benefici sulla qualità di vita che devono essere di più rispetto a quelli che danno i farmaci già in commercio. Vanno bene gli incentivi, ma andrebbe premiata l’innovazion­e, non si può più tollerare che l’industria del farmaco spenda nel marketing più di quanto spenda in ricerca.

Se non si sa ancora se un farmaco farà davvero bene lo si dovrebbe pagare meno, poi il prezzo potrà anche aumentare, e infine ci dovrebbe essere un prezzo europeo (l’industria sarebbe anche interessat­a ma i singoli Stati non vogliono). Certo il prezzo dovrà consentire un profitto che sarà più alto se i pazienti da trattare sono molto pochi ma si dovrà comunque trovare un equilibrio tra il prezzo dei farmaci e quello che i sistemi sanitari possono pagare. «Senza regole c’è il rischio di arrivare a un momento in cui i sistemi sanitari decidono di non comperare più i farmaci per le malattie rare — conclude il Lancet — o peggio che l’intero sistema crolli, e questo non sarebbe nemmeno nell’interesse dell’industria».

Ricerca e profitti Giusto valutare le spese dell’industria, ma c’è chi investe più in spot che in ricerca

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Farmaci
Quelli registrati dalla Food and Drug Administra­tion negli ultimi 30 anni, mentre l’ema ne ha registrati 142 dal 2000 460
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Il costo in euro, per un adulto, del trattament­o annuo per la sindrome emolitico–uremica. Per un bimbo è di...
600 Farmaci Quelli registrati dalla Food and Drug Administra­tion negli ultimi 30 anni, mentre l’ema ne ha registrati 142 dal 2000 460 Mila Il costo in euro, per un adulto, del trattament­o annuo per la sindrome emolitico–uremica. Per un bimbo è di...

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