Torino, la chiamata alle arti
Esposte le prime barriere antiterrorismo realizzate da giovani creativi. Come in altre città
D a questa settimana in piazza Castello, a Torino, c’è un piccolo bosco che cresce dal cemento. Magia dell’arte. Gli alberi in questione, infatti, si devono a un’idea di Negar Shariaty, studentessa dell’accademia Albertina, che li ha fotografati e stampati su teli di pvc per ricoprire le barriere antiterrorismo. La giovane artista iraniana ha vinto un concorso proposto dall’accademia, e finanziato da Intesa Sanpaolo, per trasformare un grigio oggetto industriale come il new jersey, che deturperebbe lo spettacolo barocco della piazza, in una finestra aperta sulla natura. Con un valore simbolico, come ha spiegato lei stessa: «La luce del giorno delle sequenze fotografiche si contrappone all’oscurantismo del terrorismo e a qualunque repressione politica e religiosa».
Da tempo le amministrazioni pubbliche di tutto il mondo si sono accorte che l’impatto visivo delle barriere anti sfondamento, invece di indurre nei cittadini un maggiore senso di protezione suscita responsi emotivi negativi che inducono persino a evitare luoghi percepiti come «fortificati». La «visibilità dell’(in)sicurezza» farebbe dunque il gioco dei terroristi, tanto che le stesse aziende specializzate hanno cominciato a offrire prodotti dall’aspetto meno minaccioso, soprattutto fioriere. Lo scorso anno, l’appello lanciato dall’architetto Stefano Boeri ha suscitato eco anche all’estero.
Con l’idea che «Al terrorismo bisogna rispondere con più verde, non con più cemento» e che le barriere anti sfondamento potrebbero addirittura diventare un’occasione per migliorare la città piantumandola, Firenze è stata tra le prime ad accogliere la sfida attraverso una «Chiamata alle arti» che ha prodotto 52 progetti: vasi e sedute a fioriera a forma di simbolo della pace, panchine richiudibili a libro, «panettoni» luminosi, tartarughe e uova colorate. Pisa ha coinvolto l’accademia di Brera di Milano mentre Bari si è rivolta ai suoi studenti. A Milano il Comune ha lasciato mano libera ai writers sui new jersey dell’asse viario Castello Sforzesco-duomo con un effetto, però, da post guerriglia urbana. Insomma c’è ancora anarchia, ma si naviga a vista anche fuori dall’italia, dove in Paesi come America, Israele o Gran Bretagna si discute della questione da molto più tempo. Fin dal 2010 Ruth Reed, presidente del Royal Institute of British Architects ha messo a punto alcune linee guida sul design anti terrorismo sottolineando l’importanza «che il nostro panorama urbano continui a riflettere il fatto che siamo una società aperta e inclusiva».
In alcuni casi si è però finito per sfiorare il ridicolo, come ad Edimburgo dove, a protezione del festival, sono state installate gigantesche porte di ferro, a metà fra il bus e la cabina telefonica inglesi. A nord di Londra, invece, l’arsenal’s Emirates Stadium è protetto con una soluzione che si integra talmente con la struttura da passare inosservata nella sua funzione antiterroristica: grandi lettere di cemento compongono il nome dello stadio. Poi ci sono le esempi raffinati come quello dello studio Miralles Tagliabue Embt di Barcellona che, davanti al Parlamento scozzese di Edimburgo, ha realizzato dei laghetti artificiali con funzione di barriera naturale. O come le sculture di bronzo nel distretto finanziario di New York firmate Rogers Partners Architects+urban Designers. La scommessa, per tutti, è creatività contro paura.
Ispirazione natura Nel capoluogo piemontese l’idea di Shariaty ricorda le chiome degli alberi