Codice Mazzucchelli «Vivo tra i ricordi e cose gonfie di vita»
Nella casa dell’artista che non smette di provocare Tra cimeli e i suoi famosi quadri (con l’aria dentro)
Franco Mazzucchelli, un artista fuori dagli schemi di cui si è parlato a proposito della retrospettiva «Non ti abbandonerò mai. Azioni 1964-1979», inaugurata a Milano, al Museo del Novecento, durante l’ultima Design Week, e di cui si continua a parlare oggi per la mostra «BI-FACE» al Gaggenau HUB. Ora il maestro apre le porte della sua casa milanese rivelando un doppio volto: provocatore off limits ed erede di ritualità familiari improntate alla tradizione.
Il biliardo che troneggia in soggiorno? «Un Hermelin d’epoca: giochiamo con gli amici, gli stessi con cui andiamo in barca per il Mediterraneo», risponde Giovanna Casali, artista anch’ella, da cinquant’anni moglie e complice di Mazzucchelli.
Gli sposi, nel ’68, vollero le bomboniere in resina, il materiale che Franco usava per le sue opere, con due simbolici confetti «annegati» dentro: una scelta che suscitò l’indignazione della mamma di lui, che corse a ordinarne di «vere», in argento.
L’enorme mantice usato come coffee-table? «Un acquisto che risale al viaggio di nozze in Camargue, dopo essere stato a Pamplona per la festa di San Firmino a farmi rincorrere dai tori», ricorda lui. «Trovato in una fornace, ce lo portammo in auto a Milano».
«Insufflare aria»— con mantice o altro — rappresentava già allora un’azione affascinante per il giovane Mazzucchelli, che di sostanze gassose stava alimentando dai primi anni 60 le sue sculture ambientali. «A dire il vero, per dar corpo ai miei grandi gonfiabili, intitolati Abbandono, avevo scelto le emissioni del tubo di scappamento dell’auto. Per le giunzioni del Pvc, che dovevano essere perfette — amo la téchne! —, usavo una saldatrice a radiofrequenza, la stessa che impiego oggi. Solo negli ultimi anni ho introdotto i tappi in oro massiccio con la mia firma incisa al laser, per nobilitare la povertà dei materiali».
Ennesima sfida di un artista che non rinuncia alla provocazione. Il suo anticonformismo aveva avuto modo di esplicarsi fin dagli anni ‘60 quando a Brera, prima allievo poi docente e direttore dell’accademia del Dipartimento di Comunicazione Visiva Multimediale, organizzava happening.
I suoi «gonfiabili» oversize, denominati dagli anni ’70 A.TO A. (Art To Abandone), invadevano in modo inatteso gli spazi pubblici e sollecitavano l’interazione dei presenti: a Milano in piazza San Fedele o in via Traiano, davanti all’alfa Romeo. A Santa Margherita i «gonfiabili» erano affidati alle onde. A Volterra furono «messi in piazza» da Enrico Crispolti. Le opere su carta A. TO A. — foto, testi, ritagli di Pvc — ancora documentano tali eventi, facendo riflettere, ieri come oggi, su quale sia la funzione dell’arte.
Casa Mazzucchelli, che fu dei suoi genitori e oggi ha vista su Citylife, presenta un mixage di mobili e dipinti antichi (eredità del nonno!), pezzi di design (la lampada Arteluce di Paolo Rizzato), souvenir esotici e, a parete, «testimonianze» di vari artisti: Gina Pane, Urs Lüthi, Roman Opalka, Agostino Bonalumi, Davide Boriani, Bruno Di Bello.
Fra le opere dei maestri, un piccolo Duchamp e un Beuys: «Il Duchamp lo trovai a poco prezzo in una galleria di Brera dopo che Arturo Schwarz mi intimorì con opere troppo costose».
Tra console e tele del ‘600 sono però le opere bidimensionali di Mazzucchelli a emergere con autorevolezza.
Dunque, alla fine, i «gonfiabili» sono diventati «quadri»? Sarcastico, risponde: «Quelli sono Bieca Decorazione (BD). A me l’arte decorativa non piace. Al “gonfiabile da parete” sono arrivato solo negli anni 90, dopo aver rivestito di Pvc interi ambienti: prima il centro arredi Garavaglia a Napoli — pubblicato su Domus nel ‘72 —, poi la gioielleria-galleria di Anny Di Gennaro, in via Solferino a Milano».
Ma qui da Mazzucchelli le opere BD sono davvero tante: nere, dorate, trasparenti, rosse, verdi, viola.
Fra le altre, una giallo zafferano: «È di mio nipote, sei anni, ha voluto un “gonfiabile” per sé… Pensare che mia madre intimava cinquant’anni fa: “Mai entri un gonfiabile a casa mia!”».
Ironia
«Una volta ho gonfiato una serie di opere con le emissioni dei tubi di scappamento dell’auto»