Corriere della Sera

Se gli scarti diventano colori e la cucina una via per ricomincia­re

A Hong Kong «Dyelicious» fa tinture con la frutta scaduta, a New York «Emma’s Torch» forma i rifugiati

- Alessandra Dal Monte

C’è un movimento globale, silenzioso e forse nemmeno consapevol­e, di persone, aziende e realtà che tutti i giorni provano a fare la stessa cosa, in ogni parte del mondo: innovare la filiera alimentare. Per ridurre gli sprechi, nutrire chi ha fame, studiare soluzioni nuove in grado di garantire un futuro al cibo, in un pianeta che sarà sempre più popolato e sempre meno ricco di biodiversi­tà. Sono le esperienze di cui, da oltre due mesi a questa parte, sono andati a caccia i 16 ricercator­i (di 14 Paesi) che hanno aderito alla «Food innovation global mission», tour patrocinat­o dal Ministero degli Affari esteri e organizzat­o dal Future Food Institute di Bologna con l’università di Modena e Reggio Emilia e l’institute for the future di Palo Alto per provare a fare rete tra gli esperiment­i di «cibo del futuro» più riusciti.

Da New York a Hong Kong, da Valencia a Berlino, le iniziative incontrate lungo le 11 tappe del percorso sono state moltissime. Tra le più interessan­ti scovate dai partecipan­ti, guidati tra gli altri dalla cofondatri­ce del Future Food Institute Sara Roversi, di sicuro c’è «Dyelicious», piccola azienda a conduzione familiare che dal 2013, a Hong Kong, trasforma gli scarti alimentari in colori per tessuti e oggetti. Dagli avanzi di cipolla, ananas e zenzero, per esempio, Eric Cheung e Winnie Ngai, i due soci, ricavano una bella tinta gialla. Dal legno il rosso, dal cavolo il viola, dal tè il grigio. Basta aggiungere agli scarti una miscela-base di zucchero, sale e aceto per ottenere, mescolando e cuocendo a lungo, i colori. Una vera e propria filiera «dal cestino al tessuto» che, in cinque anni, ha consentito di recuperare sei tonnellate di cibo. E di fatto ha creato una piccola encicloped­ia del riuso: Eric e Winnie hanno sperimenta­to così tanto per arrivare alle ricette delle loro tinture che ora ai loro clienti spiegano come dare una seconda vita agli avanzi.

A New York, invece, a illuminare i ragazzi del tour è stato «Emma’s Torch», ristorante-progetto sociale ispirato alla torcia della Statua della Libertà e alla poesia di Emma Lazarus incisa sulla sua lapide: «Dammi le tue stanche, povere masse desiderose di respirare libere». Ecco, per offrire una chance ai rifugiati in arrivo negli Stati Uniti, che come primo problema hanno la ricerca di un lavoro, i ragazzi di «Emma’s Torch» li formano come cuochi attraverso un corso gratuito di otto settimane e li aiutano a inserirsi nell’industria della ristorazio­ne newyorkese scrivendo loro il cv, dando lezioni di inglese e una lista di contatti. Il risultato? Decine di vite ricomincia­te (anche) grazie al cibo.

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Da sinistra, una rifugiata ai corsi di cucina di «Emma’s Torch» e una ltintura con gli scarti di cibo
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