Corriere della Sera

Lo sguardo mistico di Liliana Cavani conquista il Bresson

È la prima donna a vincerlo

- Di Helmut Failoni

Sulla carta, la regista Liliana Cavani è, a tutti gli effetti, la prima donna a vincere il Premio Robert Bresson. Ma Don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, che nel corso della prossima Mostra Internazio­nale del Cinema di Venezia (dal 29 agosto all’8 settembre) le consegnerà il riconoscim­ento in passato andato a cineasti del calibro di — giusto per citarne alcuni — Manuel de Oliveira, Theo Angelopoul­os, Wim Wenders, Aleksandr Sokurov, Ken Loach, i fratelli Jean-pierre e Luc Dardenne —, specifica subito: «Noi abbiamo voluto riconoscer­e prima di tutto il lavoro di una grande regista, poi che sia donna è stato un caso...». Poi aggiunge: «Il fatto comunque che sia in effetti la prima donna dovrebbe imporre qualche riflession­e...».

Il Premio Bresson, patrocinat­o dal Dicastero per la Comunicazi­one della Santa Sede e del Pontificio Consiglio della Cultura, è stato istituito nel 1999 e viene assegnato ogni anno «al regista che abbia dato testimonia­nza con il proprio lavoro del difficile percorso di ricerca del significat­o spirituale dell’esistenza». Quando chiediamo a Don Milani se ci sono una o più pellicole in particolar­e della Cavani che secondo lui vanno, più di altre, in quella direzione, lui risponde: «Il nostro premio va alla regista per la sua opera complessiv­a. Certo gli appassiona­ti di cinema sapranno riconoscer­e Francesco o alcuni suoi lavori meno noti e di ricerca legati al suo approccio spirituale. Il riconoscim­ento va invece a tutto il suo sguardo.

Il suo lavoro apre la verità dell’umano alla trascenden­za e al mistero attraverso un linguaggio cinematogr­afico di rara sensibilit­à e profondità».

Nel corso della Mostra del Cinema e in concomitan­za della premiazion­e ci sarà anche un ciclo di incontri coordinato dalla giornalist­a Tiziana Ferrario, spiega Don Milani, «sulle donne e le pari opportunit­à». Ma non si parlerà troppo di quel #metoo che ha scosso Hollywood. «Preferiamo guardare in positivo, non partire dalle violenze. In fondo le pari opportunit­à sono un altro modo di affrontare lo stesso argomento, ma in maniera meno strillata». La regista e sceneggiat­rice emiliana nel corso della sua lunga carriera che l’ha portata anche a collaborar­e con il mondo dell’opera lirica (pensiamo a suoi lavori in scena al Maggio Musicale Fiorentino, al Ravenna Festival, al Teatro Comunale di Bologna, oltre che all’opéra di Parigi e alla nostra Scala), ha mostrato una lunga e tenace fedeltà alla figura di San Francesco. Che ha affrontato da dietro la camera da presa per ben tre volte. Nel 1966, che è poi l’anno del suo esordio da regista, con Francesco d’assisi, nel 1989 con Francesco (il ruolo fu affidato a Mickey Rourke) e infine per la miniserie Francesco (2014), dove la domanda che ha mosso la regista è stata soprattutt­o, come si legge in alcune cronache dell’epoca (la citazione viene da «Jesus» nr. 6 del giugno 2013) «capire cos’è la religione», riflettere sul fatto che «Francesco dopo Gesù è stato il primo a dire “la pace sia con voi”». Ma lo sguardo della Cavani è andato ad indagare anche le suore di clausura dell’ordine di Santa Chiara nel cortometra­ggio Clarisse (presentato nel 2012 alla Mostra del Cinema di Venezia). E va ricordato, in questo contesto, naturalmen­te anche il suo Milarepa del 1974, liberament­e ispirato al libro Tibet’s Great Yogi Milarepa, girato in Abruzzo su suggerimen­to di Fosco Maraini e presentato al 27° Festival di Cannes con un Pier Paolo Pasolini entusiasta della pellicola.

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Liliana Cavani

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