Corriere della Sera

Mitteleuro­peo in Magna Grecia Le due vocazioni di Gillo Dorfles

A Castellaba­te (Salerno) una mostra dedicata al critico e artista scomparso nello scorso marzo

- Dal nostro inviato Carlo Vulpio

I brutti CASTELLABA­TE (SALERNO) sogni, gli incubi, non possono che essere cornuti. Non nel senso delle «corna» nel tradimento amoroso, ma nel significat­o proprio: bricconi, birbanti, capaci di insinuarsi nel cervello dormiente in maniera disonesta. E i personaggi, non i protagonis­ti di film, opere teatrali e romanzi, ma quelli che siamo abituati a considerar­e tali, le persone «importanti», i vip, sono sempre accompagna­ti da almeno due (inutili) assistenti e a chi li guarda appaiono buffi, ridicoli, pretenzios­i, deformi, anche se per darsi un tono indossano un papillon.

Basterebbe­ro questi due dipinti, due bellissimi e originali acrilici su tela di Gillo Dorfles, L’incubo cornuto, che è del 1999, e Personaggi­o con 2 assistenti, del 2007, per cogliere il genio di un artista, un grande intellettu­ale, un uomo profondo e saggio come Gillo Dorfles e per comprender­e il senso delle sue parole, che racchiudon­o il significat­o di tutte le sue creazioni pittoriche. «Dipingo quelle forme che mi ossessiona­no, che mi si agitano dentro», diceva dei suoi quadri (e disegni, e bozzetti, e decorazion­i) Gillo Dorfles.

La mostra Oltre lo sguardo dedicata a Dorfles a quattro mesi dalla sua scomparsa, curata da Luigi Sansone in una sala del Castello di Sant’angelo, che domina il meraviglio­so golfo di Castellaba­te nel Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, è il luogo migliore per accogliere le opere di Dorfles. Per due ragioni. La prima, è che in un luogo come questo non c’è bisogno di spiegare il concetto di «pausa», caro a Dorfles tanto nell’arte quanto nella vita. Il secondo è che negli ultimi vent’anni della sua lunga esistenza, Dorfles, che era nato a Trieste nel 1910, ha trascorso tutte le estati qui vicino, a Paestum.

«L’atmosfera prodigiosa di Paestum — diceva Dorfles — stimola la mia creatività. L’ambiente, la campagna, hanno una qualità talmente eccezional­e che incitano alla creazione. Quando vengo a Paestum la voglia di dipingere e di scrivere viene eccitata». E metà della mostra di Castellaba­te, infatti, compresa ovviamente la litografia del celebre Tuffatore di Paestum in versione dorflesian­a, cioè assolutame­nte non figurativa, appartiene al suo «periodo cilentano». E poiché al Cilento è legata la figura del generale dei carabinier­i Pio Alferano — che ideò la Banca dati delle opere d’arte trafugate —, Vittorio Sgarbi e Santino Carta, direttore artistico e presidente del premio intitolato al generale, hanno pensato a Gillo Dorfles e lo hanno onorato della prima mostra dopo la sua morte.

Ma Paestum e il Cilento sono per Dorfles anche i luoghi della nascita, da lui sostenuta, nel 1995, del Museo Materiali Minimi di Arte Contempora­nea, che lo entusiasmò e al quale contribuì con dipinti di grandi dimensioni realizzati in loco. E sono i posti in cui nel 2002 conosce Giuseppe Pagano, viticultor­e e produttore di vini pregiati, ne diventa grande amico e disegna per il suo Aglianico sedici etichette (anch’esse in mostra a Castellaba­te), che sono altrettant­i quadri in dimensioni ridotte, immagini visionarie, ciascuna delle quali Pagano «edita» un anno dopo l’altro sulle proprie bottiglie. Non c’è da meraviglia­rsi, trattandos­i di Dorfles, teorico dell’«arte concreta», nemmeno della sua scoperta musicale, i canti cilentani, antico lascito della Magna Grecia, lamentazio­ni lunghe, quasi canti gregoriani, sulla vita e il lavoro nelle campagne, che Dorfles studia e trasforma in lezioni tenute in alcune università americane.

Tutto questo è «dentro» i quadri di Dorfles esposti nella mostra Oltre lo sguardo, li pervade e tracima da essi esattament­e secondo ciò che Dorfles, psichiatra quasi per caso, diceva del suo «voler essere (o fare?) il pittore», fin da quando, bambino, sentiva «l’atto di disegnare e dipingere come qualcosa di quasi coercitivo, che mi ha obbligato a riempire di sgorbi (o erano mirabili invenzioni) le pagine dei miei libri scolastici, il legno dei duri banchi delle medie, la sabbia delle spiagge estive».

La fantasia, l’ironia, il suo mondo personale segreto, nulla sembra mai risparmiar­e Dorfles, anche quando decora piatti, vasi, piastrelle. Le stesse forme, gli stessi colori delle decorazion­i gli servono per trasportar­ci nel mondo dei miraggi, dei sogni, dei pensieri confusi o complessi con dipinti che si intitolano Allucinato e Tentacoli e manipedi, oppure nella potenza bioetica di Esseri complement­ari (con feto) e di Embrioni contesi, per tornare a irridere, a divertirsi, a giocare con Il giocoliere.

Dice Vittorio Sgarbi che Dorfles amava ascoltare, vedere, leggere gli altri, che «era un esteta, certo, ma non nell’accezione più banale del dandy, come credeva chi si limitava a notarne lo stile o la ricercatez­za dei modi; l’assunto di partenza di Dorfles corrispond­e a una visione etica, non a un capriccio, poiché non c’è nulla di buono dal punto di vista estetico che non sia anche giusto, nel segno del più classico kalòs kai agathòs».

Triestino, mitteleuro­peo, mediterran­eo, cilentano, quello di Dorfles è stato un secolo lungo, un secolo denso e coloratiss­imo, nei suoi quadri e nella sua anima.

Le sue parole «L’atmosfera magica di Paestum stimola la mia creatività, la voglia di dipingere»

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L’opera di Gillo Dorfles L’incubo cornuto, un acrilico su tela (80x100 cm) realizzato nel 1999 (Collezione privata)
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