Leclerc sta in attesa
F1, la Ferrari indecisa sulla seconda guida
Ricordate il «triello», lo stallo alla messicana de «Il buono, il brutto e il cattivo», film capolavoro di Sergio Leone? Nella pellicola, in una delle scene conclusive, Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef sono impegnati in un duello a tre, ma restano bloccati a lungo: nessuno è in grado di far fuoco per paura poi di essere freddato dal superstite. È sembrato di rivivere per parecchio tempo qualcosa di simile in casa Ferrari dove Sebastian Vettel, Kimi Raikkonen e Charles Leclerc si stanno affrontando da tempo per i due posti di pilota disponibili l’anno prossimo sulla Rossa. Solo che, come accaduto nel film, giovedì alla fine lo stallo si è rotto e Vettel ha fatto fuoco con una dichiarazione che non è passata inosservata: «Come vedrei Leclerc al posto di Raikkonen? Charles non lo conosco bene, ma so che sono piloti piuttosto diversi. Kimi mi piace, andiamo d’accordo. Gestiamo le cose in modo simile, diretto e lineare, è bellissimo lavorare con lui. Non sono decisioni che spettano a me, vedremo cosa accadrà. Sarei contento comunque di continuare con Kimi. Del resto Charles è giovane, per lui non c’è fretta, farà comunque una grande carriera».
Dichiarazioni che suonano come una presa di posizione da parte di Seb a favore di Raikkonen che è consapevole che, se lascerà la Ferrari, la sua carriera potrebbe concludersi in una scuderia non di primissima fila. Tradizionalmente di poche parole il finlandese si limita così a dire: «La Ferrari sa come la penso, quello che farò non è nelle mie mani, dipende da loro».
Del resto, mentre la grande rivale del Cavallino ovvero la Mercedes, fedele al vecchio motto «squadra vincente non si cambia», dopo aver rinnovato giovedì il contratto a Hamilton, ieri ha prolungato per un anno con un opzione per il secondo, anche quello di Bottas, in casa Ferrari invece si susseguono le voci di una possibile sostituzione nel 2019 del pilota finlandese. A lungo si era parlato in passato di un tentativo fatto per Ricciardo, ma da qualche mese diversi quotidiani parlano di una trattativa avanzata tra il Cavallino e il francese. Eppure è anche vero che un annuncio ufficiale ancora non c’è stato. D’altra parte però, i maliziosi potrebbero ribadire che sarebbe da sciocchi creare motivi di dissidio in una squadra adesso che è in testa al Mondiale e si avvia a tornare al successo dopo tanti anni. Ma se invece proprio il successo facesse saltare un accordo che sembra fatto? Rilanciando così Raikkonen, il compagno ideale di Vettel?
Leclerc nonostante la giovane età mantiene una freddezza invidiabile e spiega: «Tutto quello che viene detto non mi distrae. Ovviamente le voci che parlano di un possibile futuro in Ferrari mi fanno piacere, la Rossa è stata il mio sogno fin da bambino. Però a chi mi chiede se sono sorpreso di tutto quello che mi sta accadendo, compreso l’interessamento della Ferrari, dico di no. Ho lavorato duramente assieme al mio team per ottenerlo».
Conferme
La Mercedes invece ha già scelto: dopo Hamilton, rinnovo anche per Bottas
due premi Oscar (Alfonso Cuarón di Harry Potter, Art Horan de «I soliti sospetti»...) e appena presentato al Taormina Filmfest. Due anni di riprese in sei Paesi. Sparatorie in prima linea e k.o. al primo round. Difendere la nazione e insieme la nazionale. Gli allenamenti a 40 km dall’isis. Il fiato da rompere fra vetri frantumati e case sbrecciate. «Non è stato facile convincerli a raccontarsi — dice Romani — e poi seguirli nelle qualificazioni in Thailandia e in Cina, durante le sfide in Qatar e in Azerbaigian». Il giovane Jafaar, il soldato Wahid, il bacio alla bandiera, le lacrime di fatica, la paura della trincea, l’adorazione per l’eterno Muhammad Ali: «Il nostro sogno è sempre stato quello di diventare boxeur importanti. Certi giorni, per gli attentati, si saltano gli allenamenti. Ma non è grave: in Iraq ci sono priorità, scelte più importanti del nostro sogno». Al Dream Team della boxe non credevano neanche gli iracheni, e la qualificazione dei pugili-combattenti fu una sorpresa che commosse il mondo: era dai tempi di Salman Ismail, battuto a Los Angeles contro Evander Holyfield, che l’inno non suonava sui quadrati delle Olimpiadi. A Rio è toccato a Wahid sventolare il tricolore dell’iraq, emozionato portabandiera alla cerimonia d’inaugurazione, ed è stato subito chiaro che non era la gara a contare. «Qui non c’è niente, esci di casa ad allenarti e non sai mai se la sera tornerai intero. Chi ammazza in nome dell’islam è un perdente, in questa vita come in quella dopo la morte. Questo Paese sta morendo di bombe». L’unica è fasciarsi le mani, non la testa. Infilare i guantoni. E mettersi nelle mani di Dio.