«Salve le figlie di Angelopoulos»
Tra i sopravvissuti, la famiglia del regista Angelopoulos
Tra i sopravvissuti anche la famiglia del regista Theo Angelopoulos. Lo scrittore Markaris: «Paura per loro».
Da lunedì Petros Markaris, una delle figure più importanti della cultura greca moderna, autore di una serie memorabile sulle avventure del commissario Kostas Charitos, è in preda ad una furia incontenibile. L’avevamo incontrato, sereno e grintoso, durante i giorni della Milanesiana. Pronto ad affrontare tutte le sfide che per un intellettuale sono vitali.
Adesso è tornato a casa, ed è molto irritato. Non soltanto perché il celebre scrittore, che aveva deciso di ritirarsi per scrivere il suo ultimo libro, è stato sconvolto dagli incendi che hanno trasformato la periferia di Atene in un inferno. Ma perché a Mati, il villaggio virtualmente divorato dal fuoco, era di casa. In una bella villa di Mati, alla periferia orientale dell’attica, non lontano dall’aeroporto internazionale di Atene, viveva il suo maestro e ispiratore, con il quale collaborò a lungo: il grande regista Theo Angelopoulos. Del quale è stato un prezioso sceneggiatore.
Quando l’indimenticabile attore italiano Gian Maria Volontè arrivò in Grecia per girare Lo sguardo di Ulisse, con l’idea di viaggiare tra Albania, Bulgaria, Macedonia, per poi concentrare il succo della storia a Sarajevo, sempre al seguito del maestro Angelopoulos, numerose riunioni preparatorie si svolsero proprio a Mati. E là Gian Maria, già malato, disse ai giornalisti che era felice di poter vivere gli ultimi giorni in un Paese dove poteva dirsi orgoglioso di essere comunista. Storie del passato, naturalmente. Storie di un Paese, la Grecia, davvero molto particolare.
Petros Markaris non ha molta voglia di parlare, ma ad un amico non può dire di no. «Antonio, ieri non mi davo pace. Ho cominciato a chiamare il numero di Fojvi, la ve- dova di Theo. Nessuna risposta. Avevo una serie di brutti presentimenti. Ho continuato a provare. Sul fisso, sul cellulare, niente. Alla fine, non ottenendo risposte, ho chiamato Eleni, la più piccola delle figlie di Theo».
Che ti ha detto?
«No, non ha detto. Mi ha rincuorato».
Cioè?
«Fojvi e le altre figlie erano uscite correndo, disperatamente, verso l’acqua, verso la salvezza. Hanno raggiunto il mare, che per fortuna è vicinissimo. Si sono tuffate. A volte penso ai momenti in cui tutto diventa estremo, in cui temiamo di non farcela. Però sbagliamo sempre, perché abbiamo risorse inaspettate. Per fortuna di lì a poco è arrivata una barca della guardia costiera e le ha prese a bordo. In salvo. In quel momento ho sentito il cuore riprendere il ritmo normale. Poi ho parlato con la moglie di Theo. Che mi ha raccontato tutto. Il fuoco è arrivato in silenzio, improvvisamente. Ho tanti amici a Mati».
Che cos’è Mati per gli ateniesi?
«Un rifugio estivo, con tanti pregi e altrettanti difetti. È vicino ad Atene e può essere raggiunto facilmente, e questo è indubbiamente positivo. Però di negativo ci sono due problemi. Molte case sono state costruite illegalmente, senza rispetto della necessità di avere accettabili e percorribili “vie di fuga”. Il secondo problema sono gli alberi. Troppo alti, in una regione arida ed esposta ai venti più impetuosi. Al punto che molti mi hanno confidato di averli tagliati, segati, ridotti di dimensioni. Sarà brutto accettarlo, ma bisogna rendersi conto della particolarità di molte regioni».
Parliamoci chiaro, Petros: incidente provocato dalla calura, dal vento incontenibile, oppure dolo?
«Onestamente non so rispondere con sicurezza. Mi colpisce il doppio incendio a Kineta, il villaggio lungo l’autostrada per Corinto, e a Mati, dall’altra parte dell’attica».
Cioè?
«Da una parte (Kineta), pesanti danni ma nessuna vittima. Dall’altra l’inferno».
Quindi?
«Non so. Tutto è possibile. Aspetto che ci raccontino finalmente la verità. La sapremo? Il dubbio mi tormenta».