Scontri e forconi Fermato il Tour
Ieri lo spray al peperoncino dei gendarmi, oggi tappa di 65 km in salita
Forconi e lacrimogeni sul Tour de France alla prima sui Pirenei. Corsa bloccata, cariche della polizia contro gli agricoltori che protestavano e problemi anche per i corridori.
BAGNÈRES-DE-LUCHON Un attacco all’arma bianca, imprevedibile, incontenibile. Questo serviva a ribaltare la prima tappa pirenaica del Tour de France, la 16ª, a scuotere un’altimetria banale e a mettere in crisi il Team Sky. Be’, quell’attacco è finalmente arrivato ieri, dopo 29 chilometri. Chi ha rotto gli indugi? Il mai domo Tom Dumoulin? No. Il misterioso Primoz Roglic? No. La sfinge Nairo Quintana? No: diciassette contadini.
Dai terrapieni che costeggiavano un lungo rettilineo nella campagna dell’ariège, 17 simpatizzanti dell’associazione «Pour que vive la Piège» hanno fatto rotolare grosse balle di paglia sul percorso. Colti di sorpresa, i motociclisti della Gendarmerie, in teoria garanti della sicurezza in corsa (si è visto che fine ha fatto Vincenzo Nibali, infatti...), hanno risposto spruzzando gas al peperoncino che vento e poca destrezza hanno diretto sul viso dei corridori. Il Tour si è fermato 17 minuti per liberare la strada e dispensare collirio a quaranta atleti, Peter Sagan e la maglia gialla Geraint Thomas compresi. Gli agricoltori lottano contro l’esclusione della regione dell’ariège da quelle classificate come depresse e quindi rifornite di sussidi economici, decisa a febbraio dal presidente Emmanuel Macron. L’azione è uno scacco ai servizi d’intelligence in una corsa considerata ad alto rischio di azioni terroristiche ma sopraffatta da dieci balle di paglia.
Neutralizzato l’attacco, la gara è ripresa sui soliti binari paralleli: fuggitivi in vantaggio importante, gruppo maglia gialla rassegnato a ruota dei soldatini Sky. Una serie di cadute in discesa (paurosa quella che a fine corsa ha costretto al ritiro Gilbert, sul Portet d’aspet che già fu fatale a Fabio Casartelli nel Tour del 1995, banale ma decisiva quella di Yates), hanno consegnato la vittoria alle smorfiette di Julian Alaphilippe che, per la gioia dei francesi, porterà a
Parigi la sua maglia a pois. Note di merito per Pozzovivo, 5°, e Caruso, 11°, unici azzurri a dare segni di vitalità.
Oggi il Tour gioca la sua ultima carta contro la noia (e contro Sky) con una tappa sulla carta rivoluzionaria. Tre gli ingredienti base. Il primo: partenza in piedi a fianco delle bici, come nelle gare motociclistiche, con la maglia gialla davanti a tutti e gli altri a seguire, distanziati in base alla posizione in classifica. Il secondo: avvio in salita e tracciato di soli 65 chilometri (il più corto in montagna della storia del Tour) per stimolare un tutti contro tutti fin dal primo metro. Un progetto che ha costretto gli organizzatori ad allestire un’area di «warm up» dove gli atleti effettueranno un lungo protocollo di riscaldamento per prepararsi allo sforzo. Il terzo ingrediente è l’ascesa conclusiva all’inedito Col du Portet, considerato (assieme al Ventoux o forse più del Ventoux) la salita più dura di Francia con i suoi 16 chilometri al 9% di media. Strategie ipotizzabili? Doumoulin (terzo) e Roglic (quarto) all’attacco di Froome (secondo) nella salita finale, con Thomas che si stacca (non ha le tre settimane nelle gambe) e Froome legittimato a seguire olandese e sloveno per prendersi la maglia gialla. Alternative possibili? Bardet o Quintana che attaccano subito per dare senso a due settimane insulse e fanno esplodere la corsa. O Thomas che non si stacca. E vince il suo primo Tour, alla faccia dei menagrami e pure di Froome (e del suo Ventolin).