Modelli, fabbriche e rilancio Alfa, la partita italiana del nuovo manager
La road map e il futuro dell’auto elettrica
Pratola Serra è in provincia di Avellino. Ha 4 mila abitanti e pochi, probabilmente, ne hanno anche solo sentito parlare. Ma quel piccolo comune nel cuore dell’irpina, difficile da individuare senza Google Map, è una delle lucine che si accenderebbero in automatico se si prendesse un’altra mappa: quella degli stabilimenti che Fiat Chrysler Automobiles ha in Italia. È uno snodo centrale, nella geografia produttiva di Fca. È tecnicamente all’avanguardia, il know how di chi ci lavora è di eccellenza assoluta nel campo dei motori. Il problema è che sono motori diesel. Alimentano auto che il mondo ha già smesso di comprare. E il know how che ieri non aveva rivali oggi non serve più.
I 1.800 dipendenti dell’impianto irpino — fossero tutti di Pratola significherebbe un abitante su due, bimbi e anziani compresi: evidente quanto conti Fca per il territorio — sanno che per sopravvivere dovranno cambiare pelle. Per dirla con il numero uno Fim Marco Bentivogli, sono pronti ad affrontare «senza paura» la rivoluzione dell’elettrico e più che pronti a dirlo a Mike Manley, il nuovo amministratore delegato. Di più. Vogliono credere nella Fca del futuro — che poi è già domani — promessa dal piano al 2022: se nove dei 45 miliardi di investimenti annunciati due mesi fa da Sergio Marchionne andranno all’auto «a batterie», e se nove degli undici nuovi modelli europei saranno prodotti in Italia, beh, perché i relativi motori non dovrebbero essere realizzati qui? Melfi e Pomigliano sono a un passo, i diesel montati sulle Renegade, le 500X, le Panda vengono da questo stabilimento: che senso avrebbe investire altrove partendo da zero anziché riconvertire una fabbrica che già c’è, e potrebbe benissimo equipaggiare anche le versioni elettriche?
Ecco. A Pratola non partono pessimisti, e guardano a Fca per quello che è: un gruppo ovviamente interconnesso, non una semplice somma di impianti. Perciò le domande di chi ci lavora, in questi primi drammatici giorni del dopo Marchionne, sono le stesse un po’ ovunque. A Melfi, 8 mila dipendenti, non hanno ragione di pensare che la fabbrica-gioiello di alcune delle auto più vendute possa essere «dimenticata»: però se lo chiedono, se la capacità produttiva di 400 mila veicoli verrà davvero «saturata» dall’aggiunta di un altro modello. A Cassino, gli investimenti fatti per la Giulia e la Stelvio sono così freschi da costituire una garanzia in se stessi: ma arriverà qualcos’altro, in attesa che i passi avanti fatti sui mercati internazionali si trasformino in rilancio vero e consolidato del marchio Alfa? E via così. A Pomigliano sanno che continueranno a produrre la Panda fino al 2022 (poi tornerà in Polonia), e che la proroga di un anno della cassa integrazione serve a coprire il tempo necessario a metter su le nuove linee . Poiché si parla di una Jeep (la Compass?, e poiché Manley di Jeep è stato il big boss in tutti questi anni, a loro volta non partono pessimisti: ma vorrebbero, se non una conferma, almeno un segnale del fatto che sì, «dopo» Pomigliano rivedrà effettivamente la piena occupazione. Idem a Mirafiori. Per non lasciare nessuno «scoperto» dalla scadenza degli ammortizzatori, mille dipendenti sono appena stati trasferiti a Grugliasco, a costruire le Maserati Ghibli e Quattroporte: però — ci si chiede — davvero poi arriverà il nuovo Suv Maserati? E basterà, a «impegnare» Mirafiori?
Ecco. Le domande, nelle fabbriche, sono queste. Poi ci può essere (c’è) un sindacato che se ne fa semplicemente e legittimamente interprete e un altro che invece, magari, butta tutto in politica. Oltre le rappresentanze, però, resta un numero: 65 mila. Sessantacinquemila dipendenti, sessantacinquemila famiglie che vivono del lavoro in Fiat Chrysler Automobiles. Impossibile non si preoccupino di capire che cosa, come sarà l’azienda senza Marchionne, e in quale modo il nuovo amministratore delegato interpreterà il piano industriale (che ha peraltro in massima parte contribuito a scrivere). Difficilmente Manley potrà dare risposte immediate: si è appena insediato. Ma sa che, oggi, ad ascoltare la conference call ci sarà anche qualche sindacalista. Tra i messaggi che manderà, qualcuno potrebbe essere per loro.
Gli stabilimenti L’addio ai motori diesel, fiore all’occhiello di Fca, rende necessaria una riconversione
Pomigliano
Nello stabilimento di Pomigliano si produrranno Panda fino al 2022