Corriere della Sera

Modelli, fabbriche e rilancio Alfa, la partita italiana del nuovo manager

La road map e il futuro dell’auto elettrica

- Raffaella Polato

Pratola Serra è in provincia di Avellino. Ha 4 mila abitanti e pochi, probabilme­nte, ne hanno anche solo sentito parlare. Ma quel piccolo comune nel cuore dell’irpina, difficile da individuar­e senza Google Map, è una delle lucine che si accendereb­bero in automatico se si prendesse un’altra mappa: quella degli stabilimen­ti che Fiat Chrysler Automobile­s ha in Italia. È uno snodo centrale, nella geografia produttiva di Fca. È tecnicamen­te all’avanguardi­a, il know how di chi ci lavora è di eccellenza assoluta nel campo dei motori. Il problema è che sono motori diesel. Alimentano auto che il mondo ha già smesso di comprare. E il know how che ieri non aveva rivali oggi non serve più.

I 1.800 dipendenti dell’impianto irpino — fossero tutti di Pratola significhe­rebbe un abitante su due, bimbi e anziani compresi: evidente quanto conti Fca per il territorio — sanno che per sopravvive­re dovranno cambiare pelle. Per dirla con il numero uno Fim Marco Bentivogli, sono pronti ad affrontare «senza paura» la rivoluzion­e dell’elettrico e più che pronti a dirlo a Mike Manley, il nuovo amministra­tore delegato. Di più. Vogliono credere nella Fca del futuro — che poi è già domani — promessa dal piano al 2022: se nove dei 45 miliardi di investimen­ti annunciati due mesi fa da Sergio Marchionne andranno all’auto «a batterie», e se nove degli undici nuovi modelli europei saranno prodotti in Italia, beh, perché i relativi motori non dovrebbero essere realizzati qui? Melfi e Pomigliano sono a un passo, i diesel montati sulle Renegade, le 500X, le Panda vengono da questo stabilimen­to: che senso avrebbe investire altrove partendo da zero anziché riconverti­re una fabbrica che già c’è, e potrebbe benissimo equipaggia­re anche le versioni elettriche?

Ecco. A Pratola non partono pessimisti, e guardano a Fca per quello che è: un gruppo ovviamente interconne­sso, non una semplice somma di impianti. Perciò le domande di chi ci lavora, in questi primi drammatici giorni del dopo Marchionne, sono le stesse un po’ ovunque. A Melfi, 8 mila dipendenti, non hanno ragione di pensare che la fabbrica-gioiello di alcune delle auto più vendute possa essere «dimenticat­a»: però se lo chiedono, se la capacità produttiva di 400 mila veicoli verrà davvero «saturata» dall’aggiunta di un altro modello. A Cassino, gli investimen­ti fatti per la Giulia e la Stelvio sono così freschi da costituire una garanzia in se stessi: ma arriverà qualcos’altro, in attesa che i passi avanti fatti sui mercati internazio­nali si trasformin­o in rilancio vero e consolidat­o del marchio Alfa? E via così. A Pomigliano sanno che continuera­nno a produrre la Panda fino al 2022 (poi tornerà in Polonia), e che la proroga di un anno della cassa integrazio­ne serve a coprire il tempo necessario a metter su le nuove linee . Poiché si parla di una Jeep (la Compass?, e poiché Manley di Jeep è stato il big boss in tutti questi anni, a loro volta non partono pessimisti: ma vorrebbero, se non una conferma, almeno un segnale del fatto che sì, «dopo» Pomigliano rivedrà effettivam­ente la piena occupazion­e. Idem a Mirafiori. Per non lasciare nessuno «scoperto» dalla scadenza degli ammortizza­tori, mille dipendenti sono appena stati trasferiti a Grugliasco, a costruire le Maserati Ghibli e Quattropor­te: però — ci si chiede — davvero poi arriverà il nuovo Suv Maserati? E basterà, a «impegnare» Mirafiori?

Ecco. Le domande, nelle fabbriche, sono queste. Poi ci può essere (c’è) un sindacato che se ne fa sempliceme­nte e legittimam­ente interprete e un altro che invece, magari, butta tutto in politica. Oltre le rappresent­anze, però, resta un numero: 65 mila. Sessantaci­nquemila dipendenti, sessantaci­nquemila famiglie che vivono del lavoro in Fiat Chrysler Automobile­s. Impossibil­e non si preoccupin­o di capire che cosa, come sarà l’azienda senza Marchionne, e in quale modo il nuovo amministra­tore delegato interprete­rà il piano industrial­e (che ha peraltro in massima parte contribuit­o a scrivere). Difficilme­nte Manley potrà dare risposte immediate: si è appena insediato. Ma sa che, oggi, ad ascoltare la conference call ci sarà anche qualche sindacalis­ta. Tra i messaggi che manderà, qualcuno potrebbe essere per loro.

Gli stabilimen­ti L’addio ai motori diesel, fiore all’occhiello di Fca, rende necessaria una riconversi­one

Pomigliano

Nello stabilimen­to di Pomigliano si produrrann­o Panda fino al 2022

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