Palmer, l’uomo dei conti del Lingotto Dalle sfide di cricket al rodaggio Comau
Il responsabile finanziario insieme a Manley davanti agli analisti
Una foto scattata a Wall Street il 13 ottobre 2014, il giorno della quotazione di Fca, rende bene l’idea di chi sia Richard Palmer, il responsabile finanziario del gruppo che oggi sarà a fianco del nuovo ceo Mike Manley — entrambi britannici — per la presentazione dei conti del secondo trimestre di Fiat Chrysler Automobiles, così come è sempre stato a fianco di Marchionne. Non fa eccezione il debutto in Borsa a New York. Sul palco per il suono della campanella allora c’erano Sergio Marchionne e accanto a lui, alla sua destra, Richard Palmer, dall’altro lato il presidente John Elkann.
Palmer è l’uomo dei numeri e della finanza. Il «quarterback finanziario», come lo definì la Detroit Free Press nella motivazione che gli fece vincere il «2015 Automotive Leadership Awards Executive of the Year»: «Dietro le quinte, Palmer attua la visione di Marchionne». Con lui ha portato Fca in Borsa e poi Ferrari, e costruito il percorso che ha permesso a Marchionne di affermare nel giugno scorso l’azzeramento del debito industriale. Ed è forse anche per questo che negli ultimi tempi il suo nome era girato come tra i possibili per la successione al vertice del gruppo. A «Richard» veniva regolarmente passata la parola da Marchionne nel momento in cui doveva illustrare le cruciali ma noiosissime slide di presentazione dei conti. E quando gli analisti chiedevano lumi non sulle strategie ma su qualche passaggio di bilancio, il big boss in diretta webcast di nuovo invitava «Richard».
Il suo ingresso alla Fiat risale al 2003 in qualità di direttore finanziario di Comau e dal 2006 di tutto il gruppo. Tre anni dopo divenne capo delle finanze di Chrysler Group e dal 2011 di Fca e membro del Gec (Group Executive Council), il massimo organismo che raccoglie i principali esecutivi di Fca. Come ricorda nell’intervista alla Detroit Free Press, la decisione che gli cambiò la vita fu lasciare l’inghilterra per andare a Torino: «Mi piace molto la cultura italiana — raccontò —. Mi piace la loro attenzione per la famiglia e sono grandi lavoratori». Palmer, moglie italiana e tre figli, ha anche imparato la nostra lingua, ma non ha mai perso lo stile British (da giovane giocava a cricket e rugby), fatto di senso dell’umorismo, riservatezza e apertura a nuove culture: «Quando vai in una nuova azienda o in un nuovo Paese, o in entrambi — raccontava — devi capire che non c’è un solo modo di fare le cose, non c’è solo la tua maniera. Ce ne sono molte e devi ascoltare la versione delle altre persone per capire perché fanno così, ed essere paziente prima di prendere delle decisioni». Una dote che gli servirà ora che Palmer è anche responsabile delle attività di business a livello globale.