DOPO L’ONDA DEL RANCORE SI RISCHIA L’APPIATTIMENTO
Èuna lettura abbastanza condivisa che il sommovimento elettorale dello scorso marzo sia stato il frutto del vento di un’opinione segnata dal rancore: verso i partiti, la politica, il sistema, l’establishment, la «casta».
Ora che quel sommovimento ha dato luogo ad un nuovo governo, può essere utile riprendere il ragionamento per capire meglio da dove nasce il rancore nelle viscere e nelle emozioni di questa società, e per capire quanto esso sia stato o sia utilizzato nell’azione di governo.
Per la prima di queste sfide interpretative molti, quorum ego, hanno ricordato che «il rancore è il lutto di quel che non è stato»: nella vita individuale, nasce nelle tante persone che hanno perseguito e non ottenuto un proprio obiettivo di avanzamento e vivono quindi una frustrazione aperta, quasi contigua, al rancore; nella vita collettiva, nasce nei tanti gruppi sociali e centri d’opinione che vedono fermo l’ascensore sociale e bloccati tutti i meccanismi volti a più alti livelli di agiatezza e di prestigio sociale. Chi ha seguito le tensioni sociopolitiche degli ultimi anni ha riscontrato in qualche amico o conoscente l’emergere del primo di tali rancori; ed ha ascoltato in qualche convegno la denuncia esplicita di quella ingessatura sociale che legittima il rancore collettivo.
Cosa resta di questa duplice crescita del rancore? Essendo una società molto competitiva, rischiamo che il rancore lo avremo a lungo ancora fra noi, sia sul versante individuale che su quello collettivo, almeno fino a quando (cosa che prenderà del tempo) la rabbia da esso prodotta non si svilirà in una non rassegnata accettazione della potenza della dinamica competitiva. Forse però a una tale mite torsione darà paradossalmente una mano l’ardimentoso combattimento dell’attuale governo contro tutti i poteri che hanno contribuito al crescere del rancore: le strutture bancarie che hanno messo in difficoltà i propri clienti, i parlamentari che si erano dati il privilegio di un vitalizio, i pensionati d’oro etichettati come parassiti, i regolatori del mercato del lavoro che non hanno mai conosciuto il valore dell’equità, i dirigenti pubblici compromessi con le proprie decisioni precedenti e meritevoli di spoil system e quasi di rottamazione.
Si continua cioè a cavalcare l’onda del rancore, ma è verosimile che essa abbia espresso il massimo della sua fase di spinta. Anche perché in filigrana si vede nelle intenzioni politiche la vittoria di quell’insieme di «invidia e livellamento» che lo stesso Marx considera una volgare declinazione del marxismo. E che rischia di sfociare, nel medio periodo, in un appiattimento nell’esistente, magari corredato dalla «lagna», oggettivamente estraneo alla sempre più necessaria dose di vitalità di un corpo sociale che si impegni sul futuro. Stiamo attenti all’appiattimento in marcia, potrebbe essere la malattia che verrà dopo il rancore.