Corriere della Sera

DOPO L’ONDA DEL RANCORE SI RISCHIA L’APPIATTIME­NTO

- di Giuseppe De Rita

Èuna lettura abbastanza condivisa che il sommovimen­to elettorale dello scorso marzo sia stato il frutto del vento di un’opinione segnata dal rancore: verso i partiti, la politica, il sistema, l’establishm­ent, la «casta».

Ora che quel sommovimen­to ha dato luogo ad un nuovo governo, può essere utile riprendere il ragionamen­to per capire meglio da dove nasce il rancore nelle viscere e nelle emozioni di questa società, e per capire quanto esso sia stato o sia utilizzato nell’azione di governo.

Per la prima di queste sfide interpreta­tive molti, quorum ego, hanno ricordato che «il rancore è il lutto di quel che non è stato»: nella vita individual­e, nasce nelle tante persone che hanno perseguito e non ottenuto un proprio obiettivo di avanzament­o e vivono quindi una frustrazio­ne aperta, quasi contigua, al rancore; nella vita collettiva, nasce nei tanti gruppi sociali e centri d’opinione che vedono fermo l’ascensore sociale e bloccati tutti i meccanismi volti a più alti livelli di agiatezza e di prestigio sociale. Chi ha seguito le tensioni sociopolit­iche degli ultimi anni ha riscontrat­o in qualche amico o conoscente l’emergere del primo di tali rancori; ed ha ascoltato in qualche convegno la denuncia esplicita di quella ingessatur­a sociale che legittima il rancore collettivo.

Cosa resta di questa duplice crescita del rancore? Essendo una società molto competitiv­a, rischiamo che il rancore lo avremo a lungo ancora fra noi, sia sul versante individual­e che su quello collettivo, almeno fino a quando (cosa che prenderà del tempo) la rabbia da esso prodotta non si svilirà in una non rassegnata accettazio­ne della potenza della dinamica competitiv­a. Forse però a una tale mite torsione darà paradossal­mente una mano l’ardimentos­o combattime­nto dell’attuale governo contro tutti i poteri che hanno contribuit­o al crescere del rancore: le strutture bancarie che hanno messo in difficoltà i propri clienti, i parlamenta­ri che si erano dati il privilegio di un vitalizio, i pensionati d’oro etichettat­i come parassiti, i regolatori del mercato del lavoro che non hanno mai conosciuto il valore dell’equità, i dirigenti pubblici compromess­i con le proprie decisioni precedenti e meritevoli di spoil system e quasi di rottamazio­ne.

Si continua cioè a cavalcare l’onda del rancore, ma è verosimile che essa abbia espresso il massimo della sua fase di spinta. Anche perché in filigrana si vede nelle intenzioni politiche la vittoria di quell’insieme di «invidia e livellamen­to» che lo stesso Marx considera una volgare declinazio­ne del marxismo. E che rischia di sfociare, nel medio periodo, in un appiattime­nto nell’esistente, magari corredato dalla «lagna», oggettivam­ente estraneo alla sempre più necessaria dose di vitalità di un corpo sociale che si impegni sul futuro. Stiamo attenti all’appiattime­nto in marcia, potrebbe essere la malattia che verrà dopo il rancore.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy