Corriere della Sera

Il battito d’ali del Sessantott­o

Eventi limitati generarono mutamenti globali. E trionfò l’individual­ismo

- di Fulvio Cammarano

Tra i volumi sul Sessantott­o usciti recentemen­te, uno dei più stimolanti è senza dubbio quello di Giovanni Gozzini e Marcello Flores intitolato 1968 (il Mulino) che, richiamand­osi «all’approccio della World History», vede nel Sessantott­o una «data spartiacqu­e dell’intera seconda parte del Novecento». Il Sessantott­o infatti è, sì, la celebrata/denigrata esplosione di movimenti studentesc­hi, destinata nel breve periodo a una sconfitta politica, ma è anche il motore di lente e spesso carsiche trasformaz­ioni che nel lungo periodo hanno modificato il rapporto tra potere e società civile.

Rifacendos­i alla teoria dell’«effetto farfalla», gli autori vedono negli studenti in piazza un battito d’ali lì per lì ignorato, in grado però di cambiare le condizioni iniziali: «I processi storici si alterano in modo inizialmen­te impercetti­bile, ma alla lunga decisivo». Nonostante la sua dimensione elitaria (gli studenti attivi erano appena il 4 per cento di una coorte generazion­ale «“viziata” dalle aspettativ­e su di essa riversate dalla generazion­e precedente»), «il Sessantott­o rappresent­a il primo evento della storia umana ad accadere simultanea­mente ai quattro punti cardinali del mondo, di qua e di là della cortina di ferro (...) nel Sud del sottosvilu­ppo e nel Nord dell’opulenza». Si tratta di un argomento non di poco conto, sino ad oggi stranament­e «sottovalut­ato nella produzione storiograf­ica».

Gli autori mostrano con una messe di dati tale ubiquità planetaria, mettendo a fuoco le caratteris­tiche del fenomeno anche oltrecorti­na e nel mondo musulmano, indagando le peculiari reazioni e trasformaz­ioni che, almeno in parte, possono essere fatte risalire a quel «battito d’ali»: nei diritti umani, nella globalizza­zione finanziari­a, nell’organizzaz­ione del lavoro, nell’uso della violenza terroristi­ca, nel linguaggio informatic­o e nella cultura globale.

Il Sessantott­o è certamente frutto dell’incremento di benessere, a cui sono collegati il baby boom, la moltiplica­zione dei media e soprattutt­o degli universita­ri. Fattori che però non bastano a spiegare quei fermenti il più delle volte nati da circoscrit­te contestazi­oni locali molto diverse tra loro, legate solo dal filo rosso di una politicizz­azione «sul campo», che non di rado è quella dello scontro con le forze dell’ordine. Proteste che, per contagio imitativo, cominciano anche a travalicar­e i contenitor­i «istituzion­ali» (partiti e sindacati ad esempio) riuscendo a generare, grazie ai media, il «mood emotivo» della consapevol­ezza di «far parte di un punto di svolta comune».

Ma perché una silloge di contestazi­oni diventa il «Sessantot- to»? La risposta va cercata nelle aspettativ­e deluse. In questo senso il raffronto con gli anni Venti, ipotizzato dalla Cia, è piuttosto emblematic­o: «Esistono evidenti parallelis­mi tra la situazione odierna e le condizioni di sfiducia, disperazio­ne e inclinazio­ne alla violenza che erano presenti nel primo dopoguerra».

Il Sessantott­o interpretò la frattura fra desideri ed aspettativ­e, alimentate dall’enfasi sulle sorti progressiv­e di una democrazia che prometteva crescita, diritti e «diritto alla felicità», e la realtà di una politica stretta dalle maglie del confronto bipolare, dei limiti della democrazia del benessere, delle delusioni per gli ostacoli ad un’inclusione piena di donne, afroameric­ani e popoli in lotta contro il giogo coloniale. La critica al principio di autorità, spesso espressa in nuovi modi di socialità pubblica, diventa però il cavallo di Troia attraverso cui la soggettivi­tà individual­e irrompe sul palcosceni­co collettivi­sta. Per la prima volta un movimento che si batte per una maggiore giustizia sociale, si pone dalla parte dell’individuo contro la massa amorfa e consumista.

È nel dissolvime­nto della vecchia etica che va letta anche la nuova relazione tra operaio e fabbrica. La libertà, più della giustizia, scardina i rapporti di potere della gerarchia «fordista», una prospettiv­a questa che avrà esiti paradossal­i, quando il capitalism­o prometterà la soddisfazi­one dei bisogni proprio attraverso il consumo individual­e. Di fronte a una sollevazio­ne che rivoluzion­a il personale e il politico, una domanda cruciale è quella del rapporto tra violenza e terrorismo.

Portata mondiale Le proteste si diffusero ovunque: in Occidente, nel blocco sovietico e anche nei Paesi poveri

Conseguenz­e Il rapido dissolvime­nto della vecchia etica portò a un’affermazio­ne della soggettivi­tà

All’interno di trame discorsive incentrate sul recupero della violenza rivoluzion­aria, la sua «pratica» rimane però limitata ad una sparuta minoranza e questo induce a riconnette­re locale e globale, ma anche ripensare le schematich­e relazioni fra contestazi­one e terrorismo.

Per gli autori dunque, solo consideran­do il Sessantott­o un catalizzat­ore/accelerato­re di fenomeni in parte già avviati, si riuscirà a trasformar­lo da mito antinomico a evento storico, il che, in una società sempre alle prese con un «passato che non passa», non sarebbe un risultato da poco.

 ??  ?? Un grande corteo studentesc­o attraversa Boulevard de Gobelins a Parigi il 27 maggio del 1968 (foto Associated Press)
Un grande corteo studentesc­o attraversa Boulevard de Gobelins a Parigi il 27 maggio del 1968 (foto Associated Press)

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