Corriere della Sera

Capolavori e delusioni di Leonardo Il genio che non volle fare il notaio

Firenze, Milano, la Francia e le altre tappe di un percorso ineguaglia­bile Il personaggi­o simbolo del Rinascimen­to italiano raccontato ai ragazzi

- di Anna Gandolfi

Leonardo da Vinci, abile notaio dagli impeccabil­i testamenti, conteso da nobili e prelati e… «No, signor padre. Proprio no». La vocetta è una secchiata d’acqua fredda sui pensieri di Ser Piero. Al quale non resta che riscuoters­i, abbozzare e infine insistere: «Suvvia, figliolo, lo sai. Io t’immagino notaio come me e come il nonno prima di me». Ma lui, il figliolo, ha tirato una riga. Lasciando il genitore in affanno, lo confessa a noi: «Si dice che vita bene spesa, lunga è. Io già allora avevo capito: la mia non l’avrei spesa bene facendo il notaio».

Dunque, ricomincia­mo: Leonardo da Vinci, nato ad Anchiano nel 1452, pittore, scultore, ingegnere, architetto e scienziato (forse pure musicista). Un genio. Ma questo ancora il nostro non lo sa: per il momento è interessat­o a scappare in campagna, disegnando e annotando tutto ciò che vede su un taccuino. Lo stesso che Ser Piero si ritrova fra le mani: «O ragazzo, li avresti fatti tu questi scarabocch­i?». Beccato. Il messere quindi consulta un amico, illustre pittore. Il quale ingaggia Leonardo su due piedi. «E fu così che diventai apprendist­a di Andrea del Verrocchio. La sua bottega a Firenze era il posto più fantastico che avessi mai visto».

Ci sono tanti modi per raccontare un personaggi­o leggendari­o. Anche quello di dare a lui la parola. In Leonardo da Vinci, genio senza tempo Davide Morosinott­o incontra il maestro bambino e lo segue — con l’illustrato­re Stefano Turconi — mentre gli anni passano, su e giù per l’italia, dalla Corte Medicea a quella di Ludovico il Moro, al seguito del Valentino e poi fino in Francia. Nel libro, dedicato ai ragazzi, Leonardo descrive in prima persona eventi, ingegneria visionaria, capolavori. Ma un figlio illegittim­o come lui avrebbe potuto davvero fare il notaio? Il monte Ceceri è stato realmente teatro del primo volo dell’umanità? E chi è davvero la Gioconda? Opere e biografia, a volte, hanno interpreta­zioni discordant­i: Morosinott­o adotta una versione senza perdersi nelle controvers­ie, tratteggia­ndo il mito alle prese con la quotidiani­tà. Che, tra l’altro, è punteggiat­a da dubbi, autocritic­he e qualche coda di paglia. Ad esempio: 1481, committenz­a dei monaci di San Donato a Scopeto. «Per l’adorazione dei magi — ricorda Leonardo tra le pagine — avevo in mente 57 figure che si attorcigli­avano e si sovrappone­vano… Ma poi erano troppe. Bisognava pitturare per ognuna tutti i dettagli. Non faceva per me. Decisi di lasciar perdere. Però non lo dissi ai frati. Continuai a farmi ospitare per mesi». L’opera, notoriamen­te incompiuta, segnò il primo addio a Firenze: destinazio­ne Milano.

La lettera con cui da Vinci si presenta a Ludovico il Moro entra nel Codice Atlantico: è pronto a costruire ponti portatili, bombarde, catapulte, un enorme monumento a Francesco Sforza. «Forse ho esagerato un po’...». Ingaggiato. Ma della statua non se ne fece nulla («Con il bronzo costruiron­o cannoni»). Sono gli anni dei «moti dell’animo» con cui rivoluzion­a la pittura, della Dama con l’ermellino, della fragilissi­ma Ultima cena in Santa Maria delle Grazie. Di cui dice: «La tecnica dell’affresco non faceva per me. Devi essere veloce, io non lo ero. Volevo curare ogni elemento. Così ho elaborato una ricetta speciale per i colori. Però poi comparivan­o crepe. L’opera avrebbe avuto vita breve». Questa volta sbagliava.

«Tornato a Firenze nel 1503 mi imbarcai in una nuova impresa. Un tal Francesco del Giocondo, mercante importante, mi chiese di ritrarre Monna Lisa, sua moglie (ipotesi accreditat­a, ma non l’unica, ndr). A un certo punto mi scusai con Francesco e chiesi di poter tenere il dipinto con me, per completarl­o con calma». Ed è vero che la Gioconda viaggia con Leonardo ovunque, anche in Francia, dove il capolavoro passerà nelle mani di re Francesco I.

Di nuovo Firenze, per la Battaglia di Anghiari. Ideata per la Sala del Gran Consiglio come sfida a Michelange­lo, di essa non si sa più nulla, salvo che poi sullo stesso muro dipingerà Giorgio Vasari. Qui Leonardo parla adottando la versione del vescovo-biografo Paolo Giovio: «Usai la tecnica pittorica dell’encausto. Avrei lavorato con calma, con fuoco per asciugare la vernice». Qualcosa andò storto. «Colava tutto. Per la prima volta non sapevo proprio cosa fare».

Da Vinci, il genio. «Ah, sì. Qualcuno mi chiamava così». La vocetta che zittiva Ser Piero è ora la voce di un anziano. «Genio, genio. Come la volta in cui rincasavo mogio. La mia macchina volante s’era appena schiantata — povero Zoroastro, aveva una gamba rotta — quando ho incontrato due mercanti. È lui che sa spostare i fiumi e dipinge quadri bellissimi, bisbigliav­ano. Io sorridevo, ma li prendevo in giro: un genio io che avevo lasciato dipinti incompleti, che avevo studiato, pensato e inventato, ma mi era servito solo a capire quanto, in realtà, fossi ancora sciocco?». I mercanti sono ormai lontani. Leonardo si ferma, riflette. Decide che in fondo, degli errori, non gli importa. «Sapevo che avrei pensato, pasticciat­o e sbagliato. Avrei tentato e tentato ancora. Fino all’ultimo dei miei giorni». Perché una vita bene spesa, lunga è.

Da ragazzo Andrea del Verrocchio vide i suoi scarabocch­i e subito lo portò nella sua nota bottega

Visionario Si presentò al duca Ludovico il Moro Sforza con alcuni progetti davvero mirabolant­i

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A colori Leonardo da Vinci visto da Stefano Turconi. Nel disegno, il priore di Santa Maria delle Grazie è sospettoso: l’ultima cena viene dipinta a rilento

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