Il male raccontato dai maestri: venti modi (e titoli) per avere paura
Oggi in edicola con il quotidiano il primo volume della serie dedicata ai thriller psicologici Classici del brivido e romanzi da riscoprire nella biblioteca selezionata da Mirko Zilahy. Emozioni forti e introspezione: apre Donato Carrisi
Quanti modi ci sono per avere paura? Almeno venti quanti sono i volumi della nuova collana «Thriller psicologici» in edicola da oggi, 26 luglio, ogni settimana con il «Corriere» e con «Oggi» (prezzo 7,90). Una biblioteca del brivido perfetta per lettori in cerca di emozioni. La serie si muove con equilibro tra testi classici del genere, opere da (ri)scoprire e romanzi che affiancano popolarità e qualità di scrittura.
Il titolo che apre il ciclo appartiene, proprio, a quest’ultima categoria: Il tribunale delle anime di Donato Carrisi (1973). Il romanzo è innanzitutto — e per definizione del suo stesso autore — «una riflessione sul male». Carrisi, a suo agio con trame nere, e nerissime, ha ambientato la storia in una Roma inquietante e labirintica tra sette religiose e personaggi ambigui, in bilico tra luci e ombre, a partire dal protagonista, il prete penitenziere Marcus, figura borderline. «Se ti innamori di un personaggio — ha dichiarato al riguardo lo scrittore — lo devi seguire qualunque cosa accada: solo così il lettore varca il confine e può porsi domande sul bene e sul male».
A selezionare i titoli della collana «Thriller psicologici» è stato un specialista del genere, lo scrittore Mirko Zilahy (1974) in passato editor (per minimum fax) e traduttore letterario dall’inglese (sua la versione italiana de Il cardellino di Donna Tartt, premio Pulitzer nel 2014). Spiega Zilahy: «Il thriller psicologico indaga i rapporti che stanno sotto la superficie delle cose. È un aspetto che mi interessa molto sia come scrittore che come lettore».
Non c’è un unico filo conduttore che lega i romanzi, anzi è proprio la varietà nei registri di scrittura, la ricchezza di stili e la diversità nello sviluppo di trame e personaggi il valore aggiunto, lo stimolo alla lettura. Così c’è la «scrittura hitchcockiana» di Pierre Lemaitre (1951), autore francese premio Goncourt nel 2013, presente con L’abito da sposo; e c’è la prosa cinematografica di Il ladro di anime di Sebastian Fitzek (1971) e de La psichiatra, bestseller mondiale di Wulf Dorn (1969), autore che ha fatto tesoro nella sua scrittura dell’esperienza di lavoro come logopedista con pazienti con problemi mentali; entrambi gli autori chiudono i capitoli usando immagini che si imprimono con forza nella mente di chi legge. E, ancora, c’è la scrittura capace di una presa immediata di Lars Kepler (pseudonimo di una coppia di autori svedesi, Alexander Ahndoril e Alexandra Coelho Ahndoril) con L’ipnotista, esordio dell’ispettore Joona Linna della polizia di Stoccolma; e c’è il ritmo adrenalinico dell’autrice inglese, che oggi vive in Francia, B.A. Paris (1958) con La coppia perfetta, storia che mette a nudo ciò che di orribile si può nascondere dietro una routine familiare.
«Le paure ci fanno uguali e umani — avverte il curatore Zilahy —. È come quando un bambino si sveglia di notte al buio, appoggia un piede fuori dal letto e incontra qualcosa di freddo: gli scrittori riempiono questo freddo di voci, nomi, sensazioni, paure. Nel caso del thriller psicologico è una paura che entra anche nella testa; mette in dubbio la realtà, ne costruisce una sua».
Esemplare, da questo punto di vista, è Il libro degli specchi dello scrittore di thriller rumeno Eugen O. Chirovici (1964) che gioca con il meccanismo fallace e fuorviante del ricordo personale: il caso irrisolto è quello della morte di uno psichiatra che a distanza di anni torna ad agitare il sonno di un testimone.
Un punto di riferimento del genere è Il talento di Mr. Ripley, ormai un classico, di Patricia Highsmith (1921-1995) dove la maestra americana del giallo psicologico crea, con Tom Ripley, l’archetipo del personaggio capace di compiere il male senza provare rimorso (e senza perdere il favore del lettore). Altro grande maestro, a cui la definizione di autore di gialli sta stretta, è lo svizzero Friedrich Dürrenmatt (1921-1990), capace di penetrare nel profondo l’animo umano, e presente qui con un testo, Giustizia, in cui contravvenendo alle regole del genere svela fino dall’inzio l’assassino.
«Il male da Shakespeare a Edgar Allan Poe, a Dostoevskij ha a che fare con il dolore, fisico e mentale — spiega Zilahy —. Quando questo ci riguarda direttamente cerchiamo un modo per resistere; se, invece, il dolore colpisce altri allora vogliamo vedere, ci piace l’idea di avvicinarci ma senza correre gli stessi rischi. Come quando andiamo allo zoo o guardiamo un incidente. Vogliamo avere la possibilità di vedere in faccia il male, il dolore, e di tornare indietro». Che è poi ciò che fa la fortuna del genere thriller.
Zilahy è anche tra gli autori della serie con È così che si uccide, giallo con spessore letterario dove il profiler Enrico Mancini va a caccia di un assassino in una Roma carica di mistero.
La collana è, infine, l’occasione di conoscere titoli di culto quali de L’infiltrato dell’australiano Michael Robotham (1960); e altri molto attuali come con Tutto ciò che resta di T.R. Richmond (pseudonimo di uno scrittore inglese): indagine su una ragazza scomparsa, condotta ripercorrendo gli ultimi luoghi dove è stata vista e ricostruendo la sua vita sui social network dove era molto attiva.