I DAZI, PUTIN E L’INTERESSE NAZIONALE
Il pronostico è facile: l’incontro che Giuseppe Conte avrà lunedì con Donald Trump farà rullare i tamburi e squillare le trombe. Troppo espliciti sono gli apprezzamenti che la Casa Bianca ha fatto giungere al governo giallo-verde, e troppo forte è il desiderio del nostro presidente del Consiglio di prendere quota, perché le cose vadano diversamente. Ma proprio per questo, proprio perché quella di Conte a Washington si annuncia come una passeggiata trionfale oltre che una personale rivincita, sarà opportuno non perdere d’occhio i parametri di un equilibrio transatlantico diventato più complesso negli ultimi anni e negli ultimi mesi. Trump non ama l’europa così com’è, e poco gli importa di riformarla perché preferirebbe tornare ai più facili rapporti bilaterali. Ma il governo italiano vuole cambiare l’europa, non vuole affondarla. E ancora. Una devastante guerra dei dazi è stata evitata all’ultimo momento dalla vaga intesa tra Trump e Juncker, poi si vedrà. Ma il governo italiano deve difendere comunque le nostre imprese e i nostri prodotti, e deve anche chiedere per loro una esenzione dalle annunciate sanzioni Usa volte ad impedire che si facciano affari con l’iran. Sono, questi, soltanto alcuni esempi del primo pericolo che Conte correrà a Washington: quello di essere «usato» da Trump contro le odiate posizioni europee e a favore di quanto va predicando in Europa l’ideologo suprematista Steve Bannon (il suo è un «complotto» per sfasciare la Ue, scriveva ieri il Financial Times).
L’Italia finirebbe per rimetterci, e la linea del governo, così come lo stesso Conte l’ha enunciata nell’intervista al Corriere, perderebbe chiarezza strategica.
Ben vengano piuttosto le scontate e generiche convergenze «populiste» tra la Casa Bianca e il capo del governo Lega-m5s, la simpatia tra i due personaggi, la vicinanza sul tema dei migranti, le critiche all’europa (ma da un diverso punto di osservazione e con diverse prospettive), l’importanza del ruolo italiano in Libia, il nostro impegno (teorico) ad aumentare le spese per la difesa e quello (difficile) a discutere con gli alleati il progressivo ritiro dall’afghanistan, la volontà di completare il gasdotto Tap che consentirà di diversificare le forniture, l’interesse italiano (che Conte dovrebbe ribadire) alla ripresa dei negoziati Usa-russia sul disarmo, particolarmente quelli che eliminarono gli euromissili anche dall’italia.
I temi non mancano per conquistare un effettivo successo della visita, senza strumentalizzazioni da parte americana e senza chiedere al presidente del Consiglio di sconfessare i due principali azionisti della sua compagine governativa, o di modificare il «contratto» che ne guida l’azione.
E tuttavia, una particolare sensibilità politica Conte dovrà usarla quando con Trump parlerà di Russia. Perché la statura non viene soltanto dalle photo opportunities, e la Russia è oggi un tema che non si può e non si deve evitare.
Fino a poco tempo addietro, quando si era alla vigilia del vertice di Helsinki tra Trump e Putin e la visita di Conte negli Usa era già stata fissata, l’opinione prevalente era che le posizioni marcatamente filo-russe di Matteo Salvini non sarebbero dispiaciute al presidente statunitense, estimatore del capo del Cremlino e vittima in patria, a suo dire, di una «caccia alle streghe» giudiziaria. L’andamento del vertice nella capitale finlandese, per quel poco che ne è emerso, confermò in pieno questa impressione. Ma poi le cose sono rapidamente cambiate, e Conte dovrebbe tenerne conto anche se il suo primo obiettivo fosse (erroneamente) quello di compiacere la Casa Bianca.
Come fa spesso, dopo Helsinki Trump ha innescato una clamorosa marcia indietro. Il presidente è stato messo sotto accusa da un ampio arco di forze, anche repubblicane. Il secondo vertice con Putin è stato annunciato e poi rinviato, anche perché il Cremlino era restio ad accettarlo. Ma nel frattempo Salvini si era spinto a dichiarare, evidentemente anche a nome del governo, che le sanzioni europee contro Mosca dovevano essere revocate entro la fine dell’anno. E aveva anche detto, in un’intervista al Washington Post, che l’annessione della Crimea nel 2014 da parte della Russia era stata legittima. Qualunque cosa ne pensi Trump, queste posizioni, soprattutto la seconda, non sono oggi accettabili né in America né in grandissima parte dell’europa. E Conte farebbe bene a correggere errori che non hanno più corso e che isolano l’italia.
Eppure il pronostico non cambia: tra Conte e Trump vedremo successo e amicizia. Anche perché il presidente degli Stati Uniti, che qualche consiglio ogni tanto lo ascolta, sa che il quadrilatero Mattarella-conte-tria-moavero conviene valorizzarlo e difenderlo, a scanso di brutte sorprese o di crisi economiche ingestibili.