Corriere della Sera

La voglia di prendersi tutto

- di Massimo Franco

Più che una rottura col passato, c’è una voglia di rompere quasi fine a se stessa, frustrata da vecchie logiche.

Quella che sta prendendo corpo con le nomine del governo è un’italia maldestram­ente manichea; innamorata della logica della nemesi, ma incapace di portarla fino in fondo per mancanza di visione e di classe dirigente. La nuova maggioranz­a copre la strategia di occupazion­e con l’esigenza di «vendicare» gli esclusi. Si tratti di Alta velocità o di enti pubblici, emerge un’ebbrezza del potere che spinge M5S e Lega ad azzerare, destruttur­are: in certi casi magari con qualche ragione, in altri in maniera a dir poco erratica. Sono dinamiche che vanno al di là dei profili personali dei prescelti, e si inseriscon­o nel solco della continuità. A guardar bene c’è una stucchevol­e ripetitivi­tà nei governi che presentano le decisioni come «rivoluzion­i culturali»; e nelle opposizion­i che additano «inaccettab­ili lottizzazi­oni». La verità è che raramente le maggioranz­e si sottraggon­o alla tentazione di prendersi ogni centimetro di potere, e di presentare la conquista delle cariche come una novità virtuosa. E, sul versante opposto, gli avversari dimentican­o sempre quello che hanno fatto quando a vincere le elezioni erano loro.

Per questo è facile a M5S e Lega replicare agli attacchi facendosi scudo con le nomine del centrosini­stra e, in precedenza, di Forza Italia. L’unica nota stonata è la pretesa di accreditar­e un «prima» dove tutto era raccomanda­zione e

Le vecchie logiche

Una logica manichea di rottura che però è contraddet­ta dalle vecchie logiche di spartizion­e

parassitis­mo, e un «dopo» dove invece dovrebbero brillare gli ottimati del populismo: anche quelli che vengono presentati come «garanti» ma regalano profili controvers­i. Si tratta di uno schema che permette di accusare di sabotaggio chiunque contesti l’assioma della «selezione a altissimo livello» gridato dalla maggioranz­a M5s-lega. E pazienza se a smentire la loro vulgata bastano le parole coerenti, nella loro sconclusio­natezza, di Beppe Grillo. Il «garante» dei Cinque Stelle, vero sabotatore del governo di Giuseppe Conte, ha dichiarato che, fosse per lui, i parlamenta­ri sarebbero scelti «per sorteggio». Poi, mentre il premier ribadiva al Corriere che l’euro «non è in discussion­e», ha riproposto un referendum anticostit­uzionale sulla moneta unica. A questo si aggiungono le contorsion­i sull’alta velocità tra M5S e Lega. Il risultato è una confusione che stordisce. Eppure, sembra che l’opinione pubblica non si sia pentita del voto espresso il 4 marzo. È comprensib­ile: la grande fortuna del nuovo potere è che i predecesso­ri non possono scagliare prime pietre, dopo avere esasperato il Paese. Ma il rischio di M5S e Lega è di velare dietro gesti demagogici e simbolici l’incapacità di cambiare davvero le cose. Nelle nomine si intravede una contesa tra cordate contrappos­te, in grado di colonizzar­e la politica e di piegarla alle proprie logiche. In quanto sta avvenendo preoccupa questo: i registi ufficiali della presunta «rivoluzion­e» appaiono i leader politici della maggioranz­a. Ma si ha la sensazione che ce ne siano altri , forse perfino più potenti, che rimangono dietro le quinte, proiettand­o sulla palingenes­i di facciata l’ombra di un’inconfessa­bile continuità. Sarebbe triste se alla fine restituiss­ero un Paese più ingessato, declinante e rancoroso di quanto già sia adesso.

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