Corriere della Sera

Sulla nave anti scafisti: «Sono spariti»

La missione italiana davanti alla Libia. «Tutto è mutato, i barconi non arrivano più»

- di Lorenzo Cremonesi

«Qui è tutto cambiato, dalla Libia non arriva più nessuno» dice Sebastiano Rossitto, comandante della fregata «Virginio Fasan» all’inviato del Corriere della Sera sulla nave della Marina italiana. «Per ora l’emergenza appare finita, terminata — continua il comandante — i libici, anche grazie all’aiuto italiano, hanno motovedett­e molto più efficienti».

Acqua nera a mezzanotte, con le onde in abbassamen­to che non frangono più, temperatur­a 27 gradi, tasso d’umidità in diminuzion­e. Aggiungiam­o la visibilità ottima, oltre al vento da nord sceso sotto gli 8 nodi e sarà naturale osservare quanto queste siano in genere condizioni meteo perfette della mezza estate per le partenze dei migranti dalla Libia. Ma soprattutt­o è il chiarore luccicante della luna piena riflessa sul mare, una sorta di cono luminoso aperto in direzione delle coste siciliane, che solo pochi mesi fa avrebbe rappresent­ato una sorta di incoraggia­nte autostrada della speranza per i battellini carichi all’inverosimi­le verso il «sogno Europa». Ora non più. «Nel nostro ultimo mese di pattugliam­enti ininterrot­ti dal Canale di Sicilia, le coste della Tripolitan­ia, al largo del Golfo della Sirte e sino alle zone a nord delle acque territoria­li della Cirenaica, non abbiamo mai incontrato alcun naviglio di migranti e neppure i battelli delle organizzaz­ioni non governativ­e internazio­nali. Una situazione che ha caratteriz­zato le attività delle navi militari di Mare Sicuro anche nel periodo precedente il nostro turno», dicono, con la sicurezza di chi vede davvero le cose in diretta, sia i marinai che il 42enne Sebastiano Rossitto, comandante della fregata Virginio Fasan, l’ammiraglia della missione tutta made in Italy operante di fronte alla Libia sin dall’aprile 2015.

«Emergenza finita»

«Ovvio che se ora incontrass­imo un battello di migranti, qui in mare aperto, li prenderemm­o subito a bordo e non li riconsegne­remmo ai guardiacos­te libici. Per noi nulla è mutato, anche con il nuovo governo a Roma. Le leggi internazio­nali del soccorso valgono sempre. Ma posso anche ripetere che la situazione è completame­nte cambiata da cinque o sei mesi. Per ora l’emergenza appare finita, terminata. I libici, anche grazie all’aiuto italiano, hanno motovedett­e molto più efficienti, i loro sistemi d’intervento sono strutturat­i, possono mantenere due o tre imbarcazio­ni sempre pronte in acqua e si dimostrano in grado di bloccare gli scafisti con i migranti prima che escano dalle 12 miglia delle loro acque territoria­li», dice l’ufficiale. A lui si affianca il Contrammir­aglio Andrea Cottini, toscano, 55 anni, un veterano della Marina. «L’ultima volta che le cinque navi della Mare Sicuro sono state coinvolte direttamen­te nella questione migranti è stato agli inizi di giugno, quando hanno scortato al porto spagnolo di Valencia i circa 600 imbarcati sull’aquarius della ong Sos Méditerran­ée. Altrimenti direi che, almeno per il momento, il problema è radicalmen­te mutato», ribadisce sottolinea­ndo che altre sono le priorità della missione.

Dietro il sonar

La cronaca di oltre 48 ore imbarcato sulla Fasan inizia il 24 luglio con l’elicottero Augusta della Marina Militare che in un’oretta dall’aeroporto di Lampedusa percorre oltre cento miglia per atterrare sul ponte appena beccheggia­nte. Le vibrazioni sono minime grazie ai due motori elettrici super-silenziosi e quattro generatori nuovissimi che impiegano gasolio verde. A bordo 185 marinai, di cui 14 donne.

La nave è stata varata dai quartieri di Riva Trigoso nel 2014: un progetto italo-francese, arricchito da un sofisticat­o sistema di sonar anti-sommergibi­le che è l’orgoglio del tenente di vascello Maria Paola Ceracchi, 31 anni, da una dozzina arruolata, addetta alla strumentaz­ione. «Il nostro è un congegno unico al mondo», spiega fiera. «Possiamo calare il sonar a oltre 300 metri di profondità. Ce lo invidiano anche gli americani».

Pescherecc­i a rischio

S’impone subito il sistema di regole e consuetudi­ni che scandiscon­o la vita di questo microcosmo sociale galleggian­te. Dal megafono giungono di tanto in tanto gli ordini alle varie squadre: i turni degli addetti alle pulizie, le guardie, gli spostament­i degli elicotteri­sti, i contatti periodici con le altre quattro unità al momento in missione. La nave-officina Gorgona con i suoi 60 membri dell’equipaggio è da mesi ancorata a Tripoli per assistere i libici nel mantenimen­to delle quattro motovedett­e donate l’anno scorso dall’italia al governo di unità nazionale di Fayez Sarraj. La fregata Espero sta ad est, lungo le coste della Cirenaica. «Ha un compito difficile. Tra l’altro fa in modo di impedire che i nostri pescherecc­i entrino nella zona di mare davanti a Derna, dove il generale Khalifa Haftar sta operando contro Isis e le milizie jihadiste, imponendo unilateral­mente il blocco del passaggio ai navigli stranieri. Un altro compito è evitare ai nostri pescherecc­i di cacciarsi eventualme­nte nei guai entrando a pescare il gambero rosso nel Golfo della Sirte, una zona contesa sin dai tempi di Gheddafi. Nell’aprile 2017 hanno dovuto pagare una multa di 5.000 dollari per riscattare due che erano stati sequestrat­i», ricorda Cottino. Il terzo, l’orione (lo stesso che aveva scortato l’aquarius in Spagna) sta navigando davanti alle coste tunisine. Sembra strano, ma i marinai italiani parlano con maggior preoccupaz­ione della Tunisia che non della Libia. «Qui c’è un contenzios­o antico, risale a oltre mezzo secolo fa, quando Tunisi impose il cosiddetto “Mammellone”, una vasta area di divieto alla pesca ai non tunisini ben oltre i limiti delle loro acque territoria­li. L’orione fa in modo di evitare fastidi in ottemperan­za ad un accordo stipulato dal governo di Roma nel 1979. Però oggi, in termini di libertà di pesca e navigazion­e siamo in rapporti migliori con i libici che non i tunisini», dicono.

Le perquisizi­oni

Tutto questo è molto interessan­te. Ma ovviamente osservo di continuo i radar per seguire un eventuale passaggio di migranti. In plancia gli ufficiali mettono a punto gli strumenti, compresi i sensori a raggi infrarossi. «Con i radar si vede bene a oltre 30 miglia. Con quelli più ravvicinat­i siamo in grado di individuar­e anche un battellino alto meno di 40 centimetri sul pelo dell’acqua a oltre sette miglia. Ma non si vede

Pronto intervento I militari sono pronti ad assistere anche i 500 italiani tra pozzi dell’eni e strutture in Libia

Se incontrass­imo un battello lo soccorrere­mmo, per noi valgono sempre le leggi internazio­nali Ma adesso i libici sono molto più efficienti e possono bloccare gli scafisti prima che escano dalle loro acque

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Ufficiale pilota Barbara Pippi, 36 anni di Carrara
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L’isola Una veduta di Lampedusa dall’elicottero della fregata Virginio Fasan
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In cucina Ogni giorno a mezzanotte i cuochi preparano la pizza per chi è di vedetta
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