Nia, diciott’anni e grandi sogni uccisa alla fermata della metro «Un’altra vittima di un bianco»
Anne Hathaway: dobbiamo capire le paure degli afroamericani
WASHINGTON Stavano aspettando il treno in una sera di mezz’estate, nella stazione di Macarthur, a Oakland, sulla Baia di San Francisco. Due sorelle, due ragazze afroamericane, un sabato sera qualsiasi, in California. All’improvviso un uomo, totalmente sconosciuto, si è avvicinato e senza dire una parola le ha accoltellate. Nia Wilson, 18 anni, colpita alla gola, è morta subito. La sorella Letifah, 26 anni, è stata ferita gravemente, ma se la caverà.
L’aggressore si chiama John Lee Cowell, 27 anni. La polizia lo ha arrestato il giorno dopo, identificandolo con le immagini registrate dalle telecamere di sicurezza.
Gli investigatori non si spiegano l’aggressione. Le due giovani sono state colte di sorpresa: nessuna discussione, nessun litigio. «È sbucato all’improvviso, ci ha assalito. Poi l’ho visto ripulire il coltello, fermo sulla scalinata. Mia sorella era la persona più dolce del mondo», ha raccontato Letifah agli agenti.
Dall’altro capo della tragedia ecco una nota diffusa dalla famiglia di Cowell: l’assassino ha una lunga lista di precedenti penali, compreso un altro assalto armato nel 2016, e una storia di malattie mentali. I medici gli hanno diagnosticato disturbi bipolari e una forma di schizofrenia. Stava scontando una condanna a due anni, ma era stato rilasciato a maggio, in libertà condizionale, da una struttura di cura, la Atascadero State Mental Facility.
Scrivono i familiari: «Non sapeva dove andare perché molte istituzioni hanno chiuso e quindi viveva per strada». Anche se, aggiungono i parenti di Cowell, «non c’è alcuna scusa per questo attacco crudele e senza senso».
L’omicidio di Nia è rapidamente diventato un caso nazionale.
La procura di Alameda appare ancora indecisa su come «classificare» l’aggressione: c’entra l’odio razziale? Diverse star di Hollywood non hanno dubbi. Una delle prime a intervenire è l’attrice Anne Hathaway, 35 anni (Il Diavolo veste Prada e tanti altri film). Su Instragram ha postato un messaggio apprezzato da 330 mila persone: «L’assassinio di Nia Wilson lascia senza parole, ma non può essere accolto dal silenzio. Lei non è un hashtag; era una donna nera ed è stata uccisa a sangue freddo da un bianco. Tutti i bianchi — compresi me e voi — devono mettersi nella loro testa privilegiata che tutti i neri temono per la loro vita quotidianamente in America e questo accade da generazioni». La discussione online si è allargata con l’hashtag #Sayhername, con #Sayhisname e #Saytheirnames già usato in passato per attirare l’attenzione sugli afroamericani uccisi dalla polizia o mentre erano in carcere.
Si sono fatte vive, naturalmente, le principali organizzazioni per la difesa dei diritti degli afroamericani, come «Black lives matter». Anche Beatrice King, 55 anni, la fi- glia più giovane del reverendo Martin Luther King, assassinato 50 anni fa, si è rivolta ad Anna Hathaway con un tweet: «Grazie per aver chiamato all’azione i bianchi, i nostri vicini di casa». E poi tante star della musica, come Bruno Mars, 32 anni, cantautore, premiato con sette Grammy Awards nel 2018. Oppure del cinema come Tracee Ellis Ross, 45 anni, protagonista della serie tv Black-ish.
Un’altra attrice, l’afroamericana Viola Davis, 52 anni, (Barriere, 2016) ha twittato: «A che punto ci fermeremo? Sono stanca di dispiaceri. Stanca di dover organizzare manifestazioni per convincere la gente che la nostra vita ha valore. Dico al killer, non dirò il tuo nome. A Nia dico: grideremo il tuo nome dai tetti!!!».
Nia viveva in una famiglia numerosa: sei sorelle e due fratelli. Coltivava progetti concreti, come arruolarsi nell’esercito o diventare infermiera. E qualche sogno: diventare una celebrità della musica rap. Aveva già pubblicato qualche video su «Youtube».