«Nascose i figli, va condannata» La madre che divide la Spagna
Cinque anni a Juana Rivas: accusò il marito (italiano) di maltrattamenti
La vicenda
● Il viaggio
A maggio del 2016 Juana Rivas si reca in Spagna con i figli per una vacanza nella sua città di origine ma alla data prevista non rientra in Sardegna
● Le denunce Il Tribunale di Cagliari ordina di riportare i bimbi a casa ma la donna si rifiuta e denuncia maltrattamenti Il 28 agosto Rivas consegna i bambini al padre. Ieri il Tribunale di Granada l’ha condannata a 5 anni di reclusione
Una sentenza non definitiva, ma durissima: l’andalusa Juana Rivas, 37 anni, è stata condannata in Spagna a cinque anni di reclusione per sottrazione di minori, i due figli di 12 e 4 anni, e privata della patria potestà per sei anni. L’ex marito, e padre dei due bimbi, l’italiano Francesco Arcuri, 51 anni, ha vinto praticamente su tutta la linea, incluso un indennizzo di 30 mila euro, che l’accusa non aveva richiesto, per essere stato privato dei figli per 15 mesi.
La Spagna si divide su torti e ragioni, al termine del primo round di un duello coniugale che calamita l’attenzione pubblica, coinvolge le associazioni contro la violenza domestica e il mondo politico. Se Juana, forte del consenso mediatico, dell’appoggio della presidente dell’andalusia, la socialista Susana Díaz, e di esponenti di Podemos o di Esquerra Republicana, si è convertita in un simbolo della lotta alla brutalità maschile, il tribunale di Granada si è mostrato scettico sugli abusi che lei ha denunciato per giustificare la mancata consegna dei bambini al padre, come le ordinavano i magistrati. Un anno fa Juana Rivas in una foto che risale al 22 agosto 2017, quando la corte di Granada le accordò la libertà condizionata
Secondo il giudice, Manuel Piñar, soltanto una di quelle denunce è stata accertata: Arcuri aveva ammesso di aver schiaffeggiato la moglie perché era rientrata ubriaca alle 5 e mezzo del mattino, ed era stato quindi condannato a 15 mesi per maltrattamenti. L’episodio risaliva al 2009 e la coppia si era riunita, tra il 2013 e il 2016, a Carloforte, in Sardegna, dove gestiva un Bed and Breakfast, e dove ha concepito il secondogenito.
Anni di inferno e di «tortura», ha contestato ma — a quanto pare — non sufficientemente provato Juana, che a maggio del 2016 era partita con i bimbi per Maracena, vicino a Granada, per una vacanza nella sua città d’origine, senza Francesco. Alla data prevista di rientro, aveva inviato al marito un certificato medico e, all’inizio di agosto, una email in cui gli comunicava che né lei né i figli sarebbero tornati in Italia. Quando il Tribunale di Cagliari ha ordinato a Juana Rivas di riportare la prole a casa, lei ha opposto le accuse di maltrattamenti e timori per il benessere dei bambini ma, dopo un esame psicologico del maggiore, il perito d’ufficio non ha certificato alcun trauma.
Le versioni dei coniugi divergono anche sul seguito della fuga: lui assicura di non aver quasi mai potuto nemmeno parlare con i figli al telefono, lei invece di avergli offerto la possibilità di visitarli in Spagna e di comunicare con loro. Le denunce per violenza domestica presentate in Italia non sono arrivate ancora a un punto fermo, mentre all’ordine giudiziario di riconsegnare i piccoli al padre, la scorsa estate, Juana è scomparsa con loro per tre settimane. Per le strade di Maracena sono comparsi cartelli in sua difesa: «Juana è a casa mia». Ricercata per rapimento, Juana si è infine presentata il 28 agosto alla Guardia civil con i figli, tornati così in Italia. Ma la guerra continua.
d Davanti a una donna che scappa dal terrore per proteggere i suoi bambini non si può parlare di sequestro di persona