Corriere della Sera

«Mare sicuro» controlla pesca e traffici sospetti ma da sei mesi quasi non si vedono migranti «In un giorno così l’anno scorso c’erano 15 barconi »

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nulla e questo da molto tempo oramai. L’anno scorso notavamo che se una volta i migranti partivano alla disperata, più di recente li trovavamo con i giubbotti personali indossati in Libia», dicono. Gli schermi restano però bui. Alle 18,15 siamo a 70 miglia dal porto di Tripoli. Una trentina di miglia a est si individuan­o le tracce radar di tre pescherecc­i italiani. Poco più nel centro sta transitand­o un grande naviglio che sembra diretto a Khoms, il vecchio porto militare di Gheddafi. Gli italiani si danno da fare per identifica­rlo. Pare abbia spento il trasponder, che è il meccanismo via etere per cui i dati di ogni nave possono essere in teoria letti da chiunque la centri col radar computeriz­zato. «Nostro mandato è controllar­e i traffici sospetti: contrabban­do di esseri umani, petrolio e armi. Dall’inizio di Mare Sicuro nel 2015 abbiamo fisicament­e perquisito almeno un’ottantina di navi che trafficava­no con la Libia e la nostra intelligen­ce in cooperazio­ne con gli alleati Nato ha al momento almeno una decina di navi straniere in lista nera. I nostri commando armati possono salire a bordo, ovviamente sempre avendo prima ottenuto la luce verde da Roma», rimarca Rossitto.

Piattaform­e sottocchio

Emergono così i compiti della Fasan, che navigando di fronte alle zone delicate comprese tra Misurata, Tripoli, Sabratha e il confine tunisino (dove storicamen­te sono gli scafisti più agguerriti), si trova anche a dover affrontare le incognite maggiori. «Al largo di Tripoli sono le sei piattaform­e dove lavorano quasi una trentina di tecnici italiani dell’eni assieme a quelli della compagnia petrolifer­a nazionale libica. Siamo in contatto permanente con loro. Come del resto lo siamo con i 280 che operano nell’ospedale militare italiano di Misurata, con il personale della nostra ambasciata a Tripoli ed eventuali cittadini italiani nel Paese. In tutto oltre 500 persone che potremmo dover evacuare di fretta dalle spiagge alla prima emergenza», dice il Contrammir­aglio. Lui stesso fu coinvolto nella missione che nell’ottobre 2011, appena dopo la violenta defenestra­zione di Gheddafi, vide i commando della Marina salire sulle piattaform­e petrolifer­e abbandonat­e per verificare che nessuno cercasse di boicottarl­e. «Arrivammo che in Libia ancora si combatteva. Temevamo fossero minate. Le piste di atterraggi­o erano piene di detriti per impedire gli atterraggi degli elicotteri. Ma alla fine andò tutto bene», rammenta.

La calma e la «preghiera»

Alle otto di sera tutti sull’attenti per la cerimonia dell’ammaina bandiera. È un rito che si celebra da sempre. Che siano in porto o in navigazion­e, la bandiera scende sul ponte. Intanto un militare a turno legge al megafono la «Preghiera del Marinaio», scritta da Antonio Fogazzaro nel 1901. E subito dopo viene recitata brevemente la motivazion­e alla medaglia d’oro di un marinaio così come descritta negli annali dell’ammiraglia­to. Durante la notte il bel tempo si fa stabile. Ma è difficile notarlo dalla nave, sono gli strumenti a osservarlo con precisione: le unità militari di ultima concezione equipaggia­te contro le armi chimiche e nucleari limitano quasi del tutto gli accessi degli uomini sui ponti. Non ci sono oblò, solo la plancia mantiene un’ampia veduta a prua. E comunque i radar restano muti, bui. «In una giornata così un anno fa potevano essere in mare sino a una quindicina di barche con 3.000 migranti. Nel 2013 ne prendemmo a bordo 1.500 in 24 ore. Oggi nessuno», sottolinea Massimo Nava, 40 anni, capitano di corvetta d’origine milanese. Tornato in elicottero a Lampedusa, un pescatore che vende insalata di polpo al porto se la prende col giornalist­a di passaggio. «Volete smetterla di parlare di emergenza migranti che poi i turisti scappano via?», grida. Venendo dal largo di Sabratha è difficile dargli torto.

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Esercitazi­one Dall’elicottero, la fregata Virginio Fasan accostata alla nave sudcoreana con cui ha compiuto una esercitazi­one congiunta secondo le procedure Nato

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