I Sami in fuga per la sopravvivenza
Dopo la siccità, i roghi in Svezia costringono i cacciatori di renne a spostarsi più a Nord Così rischia una cultura millenaria
r c a a m n i a
D
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a F i n la n di
R u ss ia
«Lassù nel Nord — dice il loro inno nazionale scritto nel 1906 — sotto l’orsa Maggiore, gentilmente sorge la Terra dei Sami... lago dopo lago, fiumi che mormorano, foreste che sospirano…».
Ma quelle foreste non sospirano più. Prima soffocate dalle grandi siccità, dal clima che si riscalda sempre più rapidamente, ora devastate da incendi mai visti nei secoli. Così i Sami, o Lapponi come spesso li chiamiamo, sono in fuga, con le loro renne che non sono soltanto cibo ma anche lavoro, cultura, poesia, storia. Interi villaggi sono stati evacuati, carovane di autocarri con gli animali si snodano lungo le strade coperte di fumo, ma la sensazione è quella di un tesoro sempre più minacciato. Solo in una porzione dello Jamtland, nella Svezia centrale, seimila ettari di pascolo sono già bruciati e migliaia di renne non hanno più nulla da mangiare.
Così i Sami se ne vanno, sempre più a Nord. Portando via con sé anche le antiche credenze fondate tutte sul rispetto della natura: l’animismo, lo sciamanesimo, i canti come il joik, secondo la leggenda insegnato da fate ed elfi e ancora pochi anni fa proibito in certe parrocchie cristiane, come peccaminoso e pagano. Ma il rispetto della natura scompare con le foreste millenarie. E così non hanno quasi più dove andare, questi 80-100 mila seminomadi che da almeno 2.500 anni vivono nel Nord della Norvegia, della Svezia, della Finlandia, della Russia. E gli incendi, o la siccità, sono solo le braccia materiali della tenaglia che li stringe. Così come la riduzione dei pascoli già attaccati da industrie e miniere, o le difficoltà dell’integrazione sociale.
La malattia vera sta nascosta nelle menti, il riscaldamento del clima starebbe incidendo anche sulle percentuali dei suicidi e del disagio mentale, già tradizionalmente alte fra queste popolazioni: lo hanno testimoniato dei ricercatori Sami durante un recente convegno romano della Fao, l’organizzazione dell’onu per l’alimentazione e l’agricoltura. Altri hanno affidato a un rapporto della Thomas Reuters Foundation le loro paure, che si riassumono in una: è come se ci sentissimo gli ultimi, gli ultimi di tanti venuti prima di noi e che però sono riusciti ad avere la natura come alleata. Oggi, gli inverni meno freddi portano meno neve e più pioggia che può trasformarsi in ghiaccio, per le renne è sempre più difficile raggiungere le piante di cui si cibano. Per molte è la fame, altre partoriscono piccoli deformi. La specie si debilita. Al resto, penseranno d’estate i grandi roghi. «Ti senti addosso — ancora una voce dal convegno Fao — il peso dell’eredità dei tuoi genitori e dei tuoi nonni, e molta gente sente questa pressione».
Il Parlamento Sami chiede al governo svedese limiti più elastici per il ricorso d’emergenza ai foraggi supplementari. E poiché con la paura di oggi torna anche l’indignazione per le presunte discriminazioni del passato, chiede a tutti i musei di restituire gli scheletri degli antichi Sami esposti come reperti antropologici.
Nella mitologia dei Sami c’è anche «Stalu», un genio silvestre che può presentarsi sotto varie forme: uomo, animale, pianta. È molto potente, anche maligno. E quando vuole perdere un essere umano, rovinarlo per sempre, ha un suo mezzo infallibile: trasforma il panorama, la natura intorno alla vittima prescelta. Tra fumo e fiamme, l’uomo non sa più dove si trova, né chi è.