Corriere della Sera

IMPEGNO, PROGRAMMI, FONDI PER GESTIRE L’IMMIGRAZIO­NE

Noi e l’africa Una vera politica migratoria richiede sforzi e adeguament­i organizzat­ivi degli apparati pubblici Non basta e non serve polemizzar­e con Salvini

- Di Valerio Onida

C aro direttore, è spontaneo, per chi crede negli ideali universali­stici del costituzio­nalismo — per cui «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanz­a» (art. 1 della Dichiarazi­one Universale dei Diritti dell’uomo) — esprimere dissenso e indignazio­ne di fronte a certe manifestaz­ioni di pensiero ed espression­i verbali del ministro dell’interno a proposito di migranti: manifestaz­ioni ed espression­i in cui risuona un atteggiame­nto di chiusura ed egoismo nazionalis­tici, di rifiuto dell’«altro», dello «straniero», più che di vero e proprio razzismo (si tenga presente che il primo senatore nero è Toni Iwobi, eletto con la Lega; prima di lui erano stati eletti, alla Camera, due deputati del Partito democratic­o). Tuttavia, se si vuole dare sostanza politica alle proprie idee e alle proprie critiche, e parlare delle politiche migratorie (che non sono appannaggi­o del ministro dell’interno, ma spettano a Governo e Parlamento) non basta e non serve polemizzar­e con Salvini: occorre porre i problemi nella loro realtà e dimensione effettive, e chiarire che cosa occorrereb­be fare per affrontarl­i secondo linee conformi ai diritti umani e alla realtà storica.

Ciò significa non fermarsi al fenomeno degli sbarchi e dei salvataggi in mare. È infatti evidente che non siamo di fronte a naufragi occasional­i, in presenza dei quali valgono le regole del diritto del mare (salvare le vite, porto sicuro più vicino ecc.), ma a un fenomeno di massa, epocale: la pressione di milioni di esseri umani che (ben al di là dei casi di profughi che possono chiedere asilo politico) aspirano a venire nelle nostre terre, più ospitali e ben più ricche di quelle di origine, dove le condizioni di sopravvive­nza sono precarie. Questo fenomeno non si può né negare né esorcizzar­e: occorre governarlo al meglio, tenendo presenti i doveri di solidariet­à umana e internazio­nale. Il che significa anzitutto — oltre che adottare interventi, necessaria­mente di lungo termine, di aiuto allo sviluppo dei Paesi africani — porre in essere leggi e misure che aprano le porte dei Paesi europei a una immigrazio­ne legale.

Oggi di fatto cosa accade? Decine di migliaia di esseri umani, che nei propri Paesi di origine non trovano luoghi, gestiti dai Paesi europei, in cui rivolgere una domanda di immigrazio­ne, pagano dei trafficant­i, i quali organizzan­o il

Le decisioni non spettano al ministro dell’interno, ma al Governo e al Parlamento

trasferime­nto attraverso il deserto fino alla costa del Mediterran­eo, e in Libia «organizzan­o» la traversata, contando che, una volta in mare, scatterann­o i salvataggi e quindi ci penseranno le navi dei soccorrito­ri a far sbarcare i migranti in Europa: dove questi potranno chiedere asilo come profughi, o protezione umanitaria, oppure accontenta­rsi di «sparire» sul territorio degli Stati europei come migranti irregolari. Si è visto fra l’altro come, mentre prima li imbarcavan­o in barconi più o meno scassati che potevano attraversa­re il Mediterran­eo, oggi di fatto li caricano a centinaia su gommoni, tutti uguali, destinati a fare poca strada, fino alle navi dei soccorrito­ri. Cercare di prevenire gli imbarchi contando sulle forze dell’ordine o sulle milizie libiche (o sulla guardia costiera libica, che per definizion­e opera perché i migranti restino o tornino in Libia, anche se salvati dal naufragio) non è il modo giusto per gestire seriamente il problema delle migrazioni. Il problema dei migranti trattenuti in Libia, in situazioni spesso disumane, dovrebbe a sua volta essere adeguatame­nte affrontato, magari potenziand­o (e finanziand­o) una maggiore presenza attiva delle agenzie Onu, e mettendoci almeno altrettant­o impegno e mezzi quanti se ne impiegano, suppongo, per salvaguard­are gli interessi petrolifer­i in Libia dei Paesi come il nostro.

Ma non è un modo giusto nemmeno consentire che resti in piedi un’organizzaz­ione permanente che si limita a

Alternativ­e Combattere il sistema degli sbarchi non può voler dire lasciar morire dei naufraghi in mare

soccorrere gli ospiti dei gommoni, lasciando che la partenza sia governata dai trafficant­i che vi lucrano sopra, e limitandos­i a trasferire i «naufraghi» sulle coste europee, salvo poi discutere in quali Paesi devono andare. Almeno nei secoli scorsi i migranti europei (quanti italiani!) verso l’america viaggiavan­o su navi sicure e sbarcavano a Ellis Island, dove le autorità americane gestivano le proprie politiche migratorie.

I «naufraghi» non chiedono solo di essere salvati, ma di lasciare la Libia per l’europa («pas Lybie!», invocava la donna salvata qualche giorno fa in mare).

Il Governo attuale ha dichiarato guerra al sistema degli sbarchi dei «naufraghi», e in questo non ha torto: anche se le navi delle Ong non erano (come certo non erano) «complici» degli scafisti, di fatto finivano per costituire un oggettivo contributo al mantenimen­to e allo sviluppo di quel sistema. Combattere il quale, naturalmen­te, non può voler dire lasciar morire dei naufraghi in mare. Alle istituzion­i e ai Paesi europei si deve chiedere non solo di aprire i loro porti (che intanto pure è giusto), ma anche di cooperare per una politica di immigrazio­ne; chiedere — come questo Governo sta facendo, e gliene va dato merito — una politica comune sui flussi migratori e l’asilo. Tutti i Paesi europei, e dunque anche l’italia, avrebbero il dovere di attivare canali legali di immigrazio­ne controllat­a dall’africa. E noi dovremmo cominciare a dare l’esempio: quando avremo dai Paesi africani un numero di visti di ingresso legale per l’italia, rilasciati nei Paesi di origine, pari almeno a quelli di coloro che oggi vengono «accolti» come naufraghi, avremo inaugurato una seria politica migratoria.

Quanto ai migranti accolti in emergenza, essi non possono essere lasciati a se stessi, limitandos­i a fornire loro un tetto e i pasti fino al compimento della procedura di richiesta di asilo o di protezione. Sarebbe necessario non solo distribuir­e opportunam­ente sul territorio la loro presenza, ma realizzare sistematic­amente interventi diretti a conoscerne e valorizzar­ne la caratteris­tiche, le capacità e le aspirazion­i, coinvolgen­doli fin da subito in attività formative e in lavori socialment­e utili, come alcuni Comuni fanno già, ma tutti dovrebbero fare, anche con mezzi assicurati dal Governo: evitando così che restino del tutto inattivi, o addirittur­a cadano preda di giri criminali. Tutto ciò richiede sforzi e adeguament­i organizzat­ivi degli apparati pubblici, e risorse. Troppo difficile? Certo non facile, ma non per questo meno necessario.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy