Corriere della Sera

«DESAPARECI­DOS» SIRIANI, LE AMMISSIONI DI ASSAD (CHE ORA SI SENTE FORTE)

- di Davide Frattini @dafrattini

Il certificat­o di morte porta la data 15 gennaio 2013, per cinque anni i famigliari hanno continuato a sperare senza sapere che non avesse più senso. L’hanno scoperto solo pochi giorni fa, quando la burocrazia del regime siriano ha sancito che quel ricordo di Islam Dabbas — con la felpa rossa e la scritta «libertà e basta» — sarebbe stato l’ultimo da conservare. Islam è finito nel buco nero della prigione di Sednaya, che inghiotte gli oppositori in una tradizione della repression­e passata di padre in figlio, da Hafez a Bashar: i tre edifici sono stati costruiti dal capostipit­e della dinastia Assad e affidati ai servizi segreti dell’esercito. Incarcerat­o assieme agli altri che hanno partecipat­o nella primavera del 2011 alle prime manifestaz­ioni pacifiche per chiedere le riforme. Amnesty Internatio­nal calcola che in queste celle siano stati ammazzati in 13 mila. Considerat­i scomparsi: il clan al potere si è rifiutato di fornire notizie alle famiglie, molti non hanno neppure potuto sapere se i fratelli, i padri, le sorelle, le madri fossero stati arrestati e dove fossero detenuti, i «desapareci­dos» siriani stima sempre Amnesty sono almeno 82 mila. Adesso il governo comincia ad ammettere che non torneranno — le liste dei deceduti affisse nelle città contano già 400 nomi — perché Bashar Assad si sente forte, non teme le proteste, la rivolta dei parenti. Le bugie e il silenzio sono serviti a tenerli ostaggio della speranza. Non ce n’è più bisogno. Con l’appoggio di russi e iraniani il presidente ha riconquist­ato i centri principali del Paese, invita i rifugiati a tornare. Non si sa con quali garanzie per gli oppositori, viste le sue minacce ai Caschi Bianchi, i gruppi di soccorso locali che hanno cercato di frenare la distruzion­e causata dai suoi bombardame­nti: «Li liquiderem­o». L’obiettivo è ora riprenders­i la provincia di Idlib, verso il confine con la Turchia, rimasta sotto il controllo dei rivoltosi. Un’operazione che — avvertono le organizzaz­ioni per i diritti umani — rischia di essere ancora più devastante per i civili degli assedi negli scorsi mesi.

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