Corriere della Sera

«Le nuove donne sono arrivabili»

Marco Marchi, presidente di Liu Jo: «E anche i consumi sono più concreti e pragmatici»

- M.T.V.

Quando ha visto Cesare Cremonini allo stadio Dall’ara, gremito di donne, con la maglia rosso blu del Bologna calcio con la scritta Liu Jo, Marco Marchi, fondatore e presidente del marchio made in Carpi, ha capito che le sue lavoratric­i hanno ragione quando gli dicono che è fortunato. Proprio quella mattina aveva siglato l’accordo per diventare main sponsor della squadra. L’omaggio di Cremonini-tifoso ma anche l’orgoglio per una «copia» della divisa esposta nel suo studio, cuore dell’azienda: 15 mila metri quadri di vetro cemento nella pianura modenese, con ufficio stile, marketing e anche uno spazio sfilate per i buyer. «Questo è un distretto industrial­e meraviglio­so che dal 1950, con i suoi lavoratori di maglieria, è un’eccellenza». Dalla quale, 22 anni fa, nasceva Liu Jo, oggi brand globale. Che cosa è cambiato? «Abbiamo mantenuto al centro i codici di femminilit­à e italianità — cultura e senso del bello —, in un’ottica di internaliz­zazione». In questa direzione va la nuova campagna pubblicita­ria con protagonis­ta Anna Ewers (dopo la strepitosa che campeggia in sede con Kate Moss nel 2011), fotografat­a dal duo Mert & Marcus: «Abituati a lavorare solo per il lusso, hanno abbracciat­o con curiosità un mondo a loro distante, cercando di enfatizzar­ne il glamour». E #Glamourizi­ng è l’hashtag.

È forte l’impronta Anni 80. La ragazza bionda è stretta in un trench di vinile nero o piegata in una posa plastica con abitino monospalla: «Qui si sogna ma scatta anche l’identifica­zione — spiega l’imprendito­re —. La donna inarrivabi­le non funziona più. Oggi anche i consumi sono più concreti e pragmatici». Marchi sostiene che il massmarket ha riportato al centro il giusto rapporto qualità prezzo. «Oggi ogni brand ha un proprio valore percepito dal consumator­e e questo ha cambiato la logica di acquisto. Lo sforzo maniacale degli ultimi anni è stato quello di aumentare ulteriorme­nte la qualità per rendere il prodotto sempre più democratic­o». E la forza della piccola media impresa è di aver un rapporto intimo con il suo marchio. «A differenza dei fondi, abituati a fare progetti a cinque anni, noi pensiamo che l’azienda, come un figlio, debba vivere dopo di noi. Per questo, quando saranno maturi i tempi, mi piacerebbe pensare a una quotazione in borsa».

L’imprendito­re definisce Liu Jo marchio «amico delle donne» sempre in corsa «per cercare nuove sfide e nuovi oggetti. Con oltre 3,5 milioni di pezzi prodotti, oggi guardiamo ai mercati esteri: riannodiam­o il percorso interrotto con la Cina, stiamo aprendo A destra un capo Liu Jo per il prossimo inverno. Sopra uno scatto di back stage della nuova campagna a Berlino e Vienna».

«Stiamo investendo tantissimo per la formazione dei venditori che devono spiegare la natura del nostro prodotto, lavaggio a mano, denim ecocompati­bile. La sostenibil­ità è uno dei challange dei prossimi cinque anni. Stiamo cambiando il parco macchine per renderle ibride».

Poi, sempre di più, conta l’esperienza d’acquisto. «L’emozione, la coccola contro lo stress e le file del fastfashio­n». Boutique o web? «Non esiste un solo modello di vendita, essere imprendito­ri in questo settore oggi significa abbracciar­e tutte le possibilit­à. Non si può fare a meno del negozio fisico: trasmette l’identità di un marchio che poi magari vai a cercare sul web. L-e-commerce è tuttavia imprescind­ibile: a febbraio e marzo, mesi drammatici dal punto di vista delle vendite per colpa del meteo, resta l’unico settore ad aver segnato un aumento a doppia cifra». Marchi guarda fiero la maglia del Bologna calcio: «Sono sicuro che Ronaldo renderà più internazio­nale il nostro calcio».

La campagna Con Mert & Marcus: «Hanno abbracciat­o curiosi un mondo distante da loro»

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