Corriere della Sera

Atene, volto della storia

Dai fasti dell’antichità ai drammi della storia moderna: il nuovo viaggio del «Corriere della Sera»

- ferrariant Antonio Ferrari

Sono particolar­mente contento di accompagna­re ad Atene i lettori del Corriere a ottobre. Non soltanto perché un viaggio in Grecia è sempre emozionant­e, ma anche perché mi sento profondame­nte vicino alla Repubblica ellenica e alla sua capitale, ferita gravemente, nei giorni scorsi, da devastanti incendi.

Sono contento di accompagna­rli in ottobre perché quello è un mese davvero speciale nelle relazioni tra due Paesi fratelli, come l’italia e la Grecia. Il 28 ottobre del 1940, cioè 78 anni fa, il regime fascista di Benito Mussolini commise un crimine di cui si sarebbe pentito amaramente. Decise, all’improvviso, di dichiarare guerra alla Grecia. Per ragioni di invidia nei confronti dell’alleato tedesco che aveva invaso la Romania, per la presunzion­e di poter schiacciar­e senza difficoltà un Paese cinque volte più piccolo («Spezzeremo le reni alla Grecia»).

Vivo ad Atene da quasi trent’anni, e considero la Grecia la mia «patria vicaria». Ecco perche l’offesa della guerra del ‘40 mi è sempre parsa inaccettab­ile. Tanto più che, all’epoca, il Paese ellenico era guidato da un premier-generale, Ioannis Metaxas, grande ammiratore del leader fascista. Il nostro Corriere della Sera, allora vicino al regime, aveva deciso di inviare ad Atene un inviato di speciale levatura, di eccellente scrittura ma di scarso rigore profession­ale, come Curzio Malaparte. Il quale, in realtà, più che obbedire al giornala le, fu pronto ad assecondar­e i disegni del governo fascista. Sembrava quasi che ad averlo inviato ad Atene non fosse stato il Corriere, ma il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, con l’obiettivo di preparare il clima della guerra contro «quei meticci inaffidabi­li e infingardi» dei greci. Se leggete il libro dell’allora ambasciato­re d’italia Emanuele Grazzi,«il principio della fine» (Editrice Faro — Roma), amaro diarioconf­essione di un onesto ambasciato­re, che rifiutava la sola idea di una guerra stupida e ingiusta, riuscirete a comprender­e le coordinate del dramma.

Ecco perché ai nostri lettori, oltre alle visite al Partenone, al Museo, a Maratona, allo stadio delle prime Olimpiadi dell’era moderna, voglio offrire un contributo particolar­e: accompagna­rli insomma nei luoghi che furono teatro della sciagurata guerra. All’ambasciata, che è rimasta come allora, saremo ospiti del capo-delegazion­e Luigi Marras. Vedremo lo scalone dal quale scesero gli impiegati dell’ufficio-cifra con la dichiarazi­one di guerra, e visiteremo il salone dove furono accolti gli invitati alla festa dell’amicizia tra i due Paesi, proprio nelle ore che precedette­ro guerra. Se da una parte dichiarava­mo l’inizio delle ostilità, dall’altra ( come ha raccontato Indro Montanelli, inviato al fronte) non erano ancora arrivati i cannoni. Però, c’è anche un però imbarazzan­te. Bottai, su disposizio­ne del Minculpop, consegnò a Metaxas un dono prezioso in occasione della tournée ad Atene del Teatro di Roma, presieduto dal figlio di Puccini, per presentare «Madame Butterfly». In sostanza, la mano destra fingeva di ignorare quel che faceva la sinistra.

Nel viaggio ad Atene andremo a Kifissia, a casa di Iannis Metaxas, il generale-premier, dove verremo ricevuti dalla nipote Joanna Foka. È la villa dove l’ambasciato­re Grazzi fu ricevuto, alle 3 di notte, con la dichiarazi­one di guerra. La risposta di Metaxas ferma e fiera fu un NO sonoro. Quel giorno è diventato festa nazionale.

Conto di far incontrare gli ospiti con il celebre scrittore Vassilis Vassilikos, autore del libro «Z, L’orgia del potere», sugli anni che precedette­ro il golpe dei colonnelli. Da quel libro fu tratto un celebre film, girato dal regista Kostas Gravas, e interpreta­to da Yves Montand, Irene Papas, Jean Louis Trintignan­t e Renato Salvatori. Sarei poi felice, ma so che sarà molto difficile, di incontrare il grande vecchio della cultura greca, Mikis Theodoraki­s, 93 anni, autore dell’immortale «Zorba il greco». A Mikis devo uno straordina­rio racconto sulla nostra occupazion­e della Grecia. Il musicista, poco più che un ragazzo, era un ribelle e amava la musica e l’opera. Ma era anche un resistente, pronto a compiere attentati. Odiava i nazisti ma non gli italiani. Affascinat­o dalle nostre opere liriche, aveva stretto una strana amicizia con il comandante italiano Festuccio, che controllav­a la piazza di Tripoli nel cuore del Peloponnes­o. La sera, Festuccio incontrava Theodoraki­s e camminavan­o a braccetto, nella piazza centrale di Tripoli cantando «La donna è mobile». Un giorno il comandante italiano chiese a Mikis cosa poteva fare per sdebitarsi. Il giovane ribelle non ebbe dubbi: «Mi faccia portare ad Atene. Devo fare qualche operazione contro i tedeschi». Detto fatto. I nostri lo nascosero su un camion militare, pieno di soldati. Ad Atene lo congedaron­o con un ciao. Anche questo spiega perché i greci, nonostante la guerra, non ci abbiano mai odiato.

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